Inquinamento, trovate microplastiche in un ghiacciaio italiano – L’intervista
Alta Valtellina, Parco nazionale dello Stelvio. Oltre i 2600 metri di quota ci sono solo due cose: rocce e neve. Questo è il panorama offerto a chi riesce a salire sul Ghiacciaio dei Forni. Un luogo che i ricercatori delle università di Milano usano da anni per raccogliere dati sullo stato dei ghiacciai.
Durante una di queste analisi, per la prima volta in un ghiacciaio italiano è stato scoperto un elemento che con questo panorama ha ben poco a che fare: la plastica, o meglio, le microplastiche. Poliestere, poliammide, polietilene e polipropilene. Trovati in un rapporto di 75 particelle per ogni chilogrammo di sedimento. La stessa percentuale che si registra sui fondali marini o lungo le coste.
La ricerca è stata presentata a Vienna, durante la conferenza dell’European Geosciences Union. I risultati sono stati ottenuti grazie al lavoro di un team composto da sei ricercatori provenienti da due atenei milanesi: Statale e Bicocca. Guglielmina Dolaiuti, Roberto Ambrosini, Roberto Sergio Azzoni e Marco Parolini lavorano al dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali della Statale. Andrea Franzetti e Francesca Pittino invece arrivano dal dipartimento di Scienze Ambientali della Bicocca.
Open ha intervistato uno di questi ricercatori: Andrea Franzetti. Mentre risponde alle nostre domande si trova in auto e sta tornando a Milano proprio dal Ghiacciaio dei Forni. Nonostante la ricerca sia stata appena presentata è tornato a prelevare nuovi campioni per cercare di capire da dove arrivano queste plastiche e che effetto possono avere sull’ambiente.
Wikipedia |Il Ghiacciaio dei Forni visto dal rifugio Mantova
Da quando avete cominciato ad occuparvi della plastica nei ghiacciai?
«Sono anni che studiamo la contaminazione di questi ghiacci. Dal 2018 abbiamo cominciato ad occuparci delle microplastiche. Non erano mai stata descritta la loro presenza in ambienti montani di questo tipo. Le quantità che abbiamo trovato sono paragonabili a quelle che si registrano sulle nostre spiagge».
Come mai avete scelto di analizzare proprio il Ghiacciaio dei Forni?
«Noi lo studiamo da anni, sotto molti aspetti. È all’interno di un parco nazionale e ci si aspetta che dal punto di vista ambientale sia incontaminato. Ovviamente l’ente che gestisce il parco non ha nessuna responsabilità nel caso delle microplastiche. Per noi è interessante perché è uno di quelli più grandi in Italia, senza contare che è molto vicino a Milano».
Perché è così allarmante la presenza di questi materiali?
«I ghiacciai sono considerati ambienti estremamente puliti. In realtà con questo studio dimostriamo che anche in luoghi così lontani, in alta quota, possono arrivare delle microplastiche. Succede già per i pesticidi. Non sappiamo che effetto possano avere queste particelle sugli ecosistemi, quale possa essere la loro pericolosità per gli organismi che vivono in questi ambienti».
Come fanno le microplastiche ad arrivare fino ai ghiacciai?
«Questo è il prossimo passo della ricerca. Dobbiamo capire da dove arrivano. Ci sono due strade. Possono essere dei residui dell’abbigliamento degli alpinisti oppure possono avere una provenienza remota. In questi giorni ha nevicato molto e siamo venuti a raccogliere dei campioni per capire se è stata proprio la neve a trasportare questi materiali da altri luoghi».
L’abbigliamento degli alpinisti?
«Sì, i materiali tecnici possono rilasciare diversi inquinanti. Uno degli esempi più noti è quello dei vestiti in pile. Una volta messi in lavatrice rilasciano queste microparticelle. Per prelevare i campioni siamo stati molto attenti e abbiamo indossato degli indumenti adatti per non inquinare i risultati della nostra ricerca».
Cioè?
«Tute di cotone e zoccoli di legno. Abbiamo lasciato gli scarponi vicino al luogo scelto per i prelievi».
Una volta capito da dove arrivano, cosa studierete?
«Cercheremo di capire che effetto hanno sulle comunità biologiche della zone, quelle che si trovano nei ghiacci, nei fiumi e nei laghi. Oltre a questo studieremo anche i loro effetti nella catena alimentare. Il rischio infatti è che non solo queste plastiche si accumulino negli organismi viventi ma che siano dei veicoli per trasportare altri inquinanti».