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«La resistenza ai farmaci ucciderà più del cancro» – Intervista all’infettivologa Marianna Meschiari

10 Aprile 2019 - 01:36 Juanne Pili
L'Italia è ancora indietro rispetto agli altri Paesi europei nelle strategie per prevenire gli effetti della resistenza ai farmaci. Questa situazione è dovuta anche a un uso scorretto di antibiotici e antimicotici

I titoli che abbiamo letto in questi giorni potrebbero farci pensare ai soliti allarmismi ingiustificati, come per l’infezione del fungo candida auris, la cui resistenza ai farmaci sta preoccupando il Center for disease control (Cdc) negli Stati Uniti. Da New York a Los Angeles si sono contate quasi 600 infezioni solo nel febbraio scorso, fino ad arrivare alla morte di un uomo in un ospedale di Brooklyn.

Anche se ci divide un oceano, pensare che il pericolo possa restare circoscritto solo nelle strutture ospedaliere americane potrebbe rivelarsi poco prudente. Oltre a questo si è tornato a parlare anche di tubercolosi, negli Stati Uniti e in Italia. Non si tratta davvero di un «ritorno»: la malattia non è affatto qualcosa di «ottocentesco» come si potrebbe pensare.

Il problema della farmaco-resistenza spiegata dall’infettivologa Marianna Meschiari

Open ha contattato una delle più grandi esperte in Italia nell’ambito della farmaco-resistenza, soprattutto quella dei batteri agli antibiotici: l’infettivologa Marianna Meschiari dell’Università di Modena.

Che differenza c’è tra la farmaco-resistenza dei funghi e quella dei batteri?

«Il meccanismo legato all’antifungino dev’essere diretto verso la parete dei funghi, che ha una disposizione diversa rispetto a quella batterica. Ora, spiegare in modo preciso la differenza del trattamento antifungino rispetto a quello antimicrobico è un po’ complesso. Credo che interessi anche poco all’opinione pubblica».

Perché si sta tornando a parlare della candida auris?

«L’utilizzo assolutamente inappropriato dell’antibiotico che è stato fatto porta a una resistenza evidente ai farmaci antibatterici, lo stesso avviene in altri campi come la terapia antifungina. Quello della candida auris è un grosso problema. Come tutti i funghi è in grado di creare biofilm: ha la capacità di aderire alle superfici, come quelle dell’ospedale e tutti gli oggetti che entrano in contatto diretto con i pazienti, come cateteri e protesi.

Il problema della candida auris è che ha una elevatissima resistenza ambientale. Attualmente i farmaci antifungini non sembrano essere particolarmente efficaci. Negli Stati Uniti già da anni si annuncia l’avvento di un’era post-antibiotica e lo stesso potrebbe avvenire per gli antifungini».

Ha mai avuto a che fare con delle infezioni da candida auris in Italia?

«Al momento, a Modena, casi di candida auris non ne abbiamo avuti. Dopo questa allerta del Cdc, però, è un patogeno verso il quale bisogna guardare con una maggiore attenzione. Sono state migliorate le metodiche ma c’è anche da capire se non abbiamo registrato dei casi perché prima non venivano neanche isolati come tali».

Non sarà mai possibile creare degli antibiotici definitivi, in grado di sconfiggere per sempre i batteri?

«Assolutamente no. L’antibiotico-resistenza è un fenomeno noto già dall’epoca del primo antibiotico, la penicillina. È automatico che i batteri, così come i funghi, cerchino in qualche modo di scappare con un meccanismo di mutazione genica al farmaco cui vengono esposti. L’unica cosa che noi possiamo fare è utilizzarli bene, magari in modo rotatorio.

Finchè utilizziamo sempre lo stesso farmaco – e male – è ovvio che i batteri impareranno ad acquisire il meccanismo di resistenza, così come i funghi. Lo stesso problema lo vediamo anche nei disinfettanti ambientali, quelli che si usano in luoghi com gli ospedali. Anche su questo bisogna porre una maggiore attenzione».

Recentemente si è parlato anche di un allarme tubercolosi. Di solito quando pensiamo a questa malattia ci viene in mente l’Ottocento.

«La tubercolosi è una delle malattie più attuali. Adesso su un reparto di 27 posti letto ho 5 pazienti ricoverati per tubercolosi. Se moltiplichiamo per il numero di ricoveri all’anno, resta una delle prime cause di morte a livello mondiale e non esiste al momento un vaccino del tutto efficace.

La vaccinazione ha una efficacia molto parziale, quindi viene proposta solo nei Paesi in qui la tubercolosi è endemica, come quelli dell’Africa sub-sahariana. Per questo motivo si continuano a registrare nuovi casi. Ci sono dei micobatteri che sono resistenti ai farmaci comunemente utilizzati, quindi c’è una notevole casistica di infezioni da tubercolosi multi-resistente ai farmaci classici».

A parte i farmaci che altre armi abbiamo a disposizione?

«Dobbiamo agire soprattutto a livello di prevenzione. Nonostante il richiamo lanciato due anni fa dall’Oms per creare maggiori spunti di ricerca per nuovi farmaci, questi saranno naturalmente sempre meno, quindi l’unica cosa che si può fare – e che deve essere fatta a tutti i livelli – è una nota di prevenzione. È questo che permette di contrastare gli effetti della farmaco-resistenza, non solo in ambito ospedaliero ma anche in quello territoriale, nella medicina veterinaria e nell’agroalimentare».

Come siamo messi in Italia?

«L’Italia è ancora molto indietro purtroppo. Non sono state fatte campagne di prevenzione efficaci, non c’è neanche abbastanza formazione. A novembre il nostro Paese è stato etichettato come responsabile di un terzo dei morti per multi-resistenza. Anche sul tasso di antibiotico-resistenza siamo sicuramente tra gli ultimi posti in Europa, dopo la Grecia, la Lituania e pochi altri.

Uno dei problemi è  che in Italia vengono fatte molte più prescrizioni che nel resto d’Europa. Non ci sono dei meccanismi di controllo. Manca una campagna nazionale e interventi strutturali a tutti i livelli, nell’ambito ospedaliero in primis. Fortunatamente è uscito il Piano nazionale di contrasto all’antibiotico-resistenza (Pncar) che sta cercando in modo uniforme di condurre una prevenzione a livello nazionale, ma siamo ancora indietro di dieci anni rispetto al resto d’Europa».

Si può già parlare di emergenza?

«Assolutamente sì. Se continuiamo così – stando alle stime – nel 2050 la mortalità per antibiotico-resistenza sarà peggiore di quella per il cancro. È un fenomeno che va assolutamente contrastato».

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