Perché nel Def i veri assenti sono i giovani
Non si può avere tutto. Sembra questa la sintesi dell’incontro, molto acceso a quanto si apprende, tra i due vicepremier e il ministro Tria che ha preceduto il rapido Consiglio dei ministri che ha approvato il documento di economia e finanza.
Nel libro dei sogni questo doveva contenere almeno la Flat tax (sic!) con due aliquote al 15 e al 20% e il disinnesco delle clausole di salvaguardia dell’Iva. Ma la realtà, a mezzo Tria, sembra essersi imposta.
Pesano le stime di crescita, abbassate allo 0,2% e pesa il debito che è dato in aumento. Il risultato è ancora molto confuso. Se da un lato sembra chiaro che la Flat tax è rimandata, come promessa, al 2020, dall’altro è molto meno chiaro come verranno trovate le risorse per scongiurare un aumento dell’Iva che sarebbe un boomerang elettorale di enorme portata.
Diverso sarebbe stato a fronte di previsioni di crescita differenti risultanti dagli effetti della legge di Bilancio, ma non è così. Ed è proprio questo l’elemento a cui guardare sfogliando il testo del Def.
Quale spazio ha il lavoro, e soprattutto il lavoro dei giovani in questo quadro? Il governo mette nero su bianco che l’effetto combinato sulla crescita del Pil di Reddito di cittadinanza e Quota 100 sarà inferiore al costo delle due misure. Ma soprattutto l’impatto sull’occupazione sarà dello 0,2% non solo nel 2019 ma anche nel 2020.
La crescita ripartirebbe nel 2021, una data lontana anni luce vista l’incertezza globale nella quale ci troviamo. Sulla previsione pesa soprattutto Quota 100, che porterebbe ad un calo dell’occupazione dello 0,3% nel 2019 e dello 0,5% nel 2020, calo che continuerebbe fino al 2022.
Nell’anno in corso si prevede infatti che solo un terzo di coloro che andrà in pensione con il provvedimento verrà sostituito da nuove assunzioni. E questo dato è dedotto nel Def dalle previsioni di assunzione della pubblica amministrazione, ed è molto probabile che nel privato andrà peggio.
Le promesse sull’occupazione giovanile, che doveva avere un boom in virtù di Quota 100 sono quindi smentite dal governo stesso che aveva sempre detto che, almeno per quanto riguardava il settore pubblico, il ricambio sarebbe stato, nel caso peggio, di uno ad uno.
E sappiamo che, per la struttura del mercato del lavoro italiano, la componente giovanile è sempre quella che paga prima il conto e beneficia più tardi dei trend positivi. Le promesse sull’occupazione giovanile, che doveva avere un boom in virtù di Quota 100, sono quindi smentite dal governo stesso che aveva sempre detto che, almeno per quanto riguardava il settore pubblico, il ricambio sarebbe stato, nel caso peggiore, di uno ad uno.
La partita è ancora aperta, lo dimostra il fatto che il governo ha evitato la conferenza stampa dopo il Consiglio dei ministri, sostituita da un susseguirsi di dichiarazioni dalle quale tutti emergevano come vincitori.
Nel frattempo l’opposizione sta a guardare optando per la strategia dei pop corn, forte anche di una poca predisposizione al dialogo da parte dell’esecutivo. Ma è chiaro che l’obiettivo è quello di arrivare alla campagna elettorale facendo meno morti possibili.
Si spiega così come il riferimento alla Flat tax resti nel Def, pur rimandato, e come nessuno abbia il coraggio di ammettere che qualche aumento dell’Iva ci sarà (magari su alcuni prodotti) e che probabilmente gli 80 euro saranno un ricordo nel 2020. Tutto rimandato, tranne una cosa: i dati negativi che ogni giorno ci ricordano che siamo un Paese in recessione.
Quello che colpisce di più in tutto questo è la totale assenza del tema del futuro dei giovani, del loro lavoro, della loro formazione. Non se ne parla, non se ne litiga. Tutti elementi che se messi a sistema accompagnandoli con investimenti mirati avrebbero effetti moltiplicatori molto più elevati di quelli delle misure finora proposte.
Investimenti a lungo termine dunque, proprio quelli più utili per costruire basi economiche e sociali che possano resistere ad un clima di costante incertezza che non è certo destinato a finire.