Un populista amico dei miliardari: cosa c’è in «The brink», il documentario su Steve Bannon
Il mondo lo conoscecome colui che ha permesso a Donald Trumpdi vincere la gara presidenziale del 2016. Senza di SteveBannon, Trump sarebbe stato un contenitore senza contenuti, privo di ideologia. La rivoluzione trumpianaha garantito a Bannon la fama e il rispetto di leader politici in tutto il mondo. Oggi, in Europa,è noto come colui che sussurra ai partiti populisti di destra,il profeta dei «dimenticati dalla globalizzazione», il messia dei «deplorevoli»,come Hillary Clinton aveva battezzatoin campagna elettorale i sostenitori di Trump.
Ma in The Brink (titolo italiano: Sull'orlo dell'abisso), ildocumentario dellaregista trentacinquenneAlison Klayman, Bannon ci appare in nuovevesti. Auto-ironico e affabile, solitario e irascibile, docile con i giornalisti e autoritario con i suoicollaboratori, pensatore iconoclasta e, al tempo stesso,servizievole corteggiatore di miliardari.Un populista, sì, ma noncerto un uomo del popolo.È lo stesso Bannon a rimarcarloverso la fine del documentario, quando torna a farecampagna elettorale per conto dei Repubblicani durante le elezioni di metà mandato a novembre 2018.
Alison Klayman|Steve Bannon a un raduno in occasione delle elezioni midterm nel 2018
Lui e il suo entourage, che ruotaattorno apochifedeli collaboratori tra cui il nipote Sean Bannon (figlio del fratello di Steve) e l'editore del ramo inglese diBreitbart News, Raheem Kassam, visitano la casa di alcuni elettori repubblicani. Una casa modesta, con in vista un crocifisso nel soggiorno, che Bannondice ricordargliquella in cui è cresciuto, luifiglio di un'umile famiglia di cattolici irlandesi americani.
Ed ecco che nella scena successiva Bannon si trova in un aeroporto privato, pronto a decollare con un jet per raggiungere qualche alleato sovranista in un Paese lontano. Bannon si gira verso la telecamera e, sorridendo come un ragazzino che è stato beccato a fare qualcosa che non dovrebbe fare, si confessa alla telecamera:«Hotel 5 stelle, jet privati….questo documentario mi abbatterà!».
Alison Klayman|In programma alla Fondazione Feltrinelli a Milano il 12 aprile
Questa contraddizione di fondo non sembra però preoccupare Bannon più di tanto. Non fa unmistero del suo passato da banchiere, citando più volte gli anni passati a Goldman Sachs. Si circonda di miliardari, come l'eccentrico uomo d'affaricinese Miles Kwok da cui, la regista fa sapere nei titoli di coda, Bannon è riuscito a farsi dare svariati milioni di dollari per finanziare la sua rivoluzione.
Passa dalla suite di uno scenografico Hotel a Venezia – in cui avvieneun siparietto memorabile con Giorgia Meloni e un giornalista del quotidiano britannicoThe Guardianche rinfaccia a Bannon di aver chiamatoFratelli d'Italia un partito neo-fascista (Bannonsorride a denti stretti e nega) – a un comizio patinatocon la stessa disinvoltura con cui tracanna lattinedi Red Bull per continuare a lavorare a notte inoltrata. E se fossero i populisti come Bannon a essere i veriradical chic?
Ma dal documentario si evincono anche delle verità importanti non solo sulla vita di Steve Bannon ma anche sull'internazionale sovranista che, dopo il suo licenziamento dalla posizione di stratega al fianco di Donald Trump pochi mesi dopo l'inizio del suo mandato presidenziale, Bannon sta cercando di costruirepartendo dall'Europa delsuo idolo Viktor Orbàn, il premier autoritario dell'Ungheria, e danuovi e vecchi alleati, comeNigel Farage (ex leader del partito indipendentista Ukip), Matteo Salvini e, appunto, Giorgia Meloni.
La prima è che i sovranisti euroscetticisembrano credere molto alle doti propagandistiche e organizzative di Bannon, al quale si rivolgono con toni riverenti e peril quale sono disposti a macinare chilometri pur di passare qualche ora insieme. La seconda è che, stando al documentario, la macchina organizzativa di Bannonlascia molto a desiderare. Forse, peril momento,l'Europa può ancora dormire tranquilla.