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Cosa c’è dietro chi critica Greta Thunberg

18 Aprile 2019 - 22:58 Juanne Pili
Scarsa comprensione del marketing e tendenza al negazionismo dei cambiamenti climatici. Ecco cosa c’è dietro chi critica Greta Thunberg

C'è un complotto dietro al successo mediatico di Greta Thunberg? Sono in molti, fra i suoi detrattori, a insinuarlo. Tutto parte dall’inchiesta del giornalista Andreas Henriksson.Molte delle affermazioni riportate dagli autori non sono una novità, si basano su tesi vagamente complottiste già analizzate da David Puente in un precedente articolo.

La tesi principale è che lo sciopero scolastico di Greta servirebbe nell’ambito di un'operazione di marketing per pubblicizzare il libro della madre, la cantante lirica Malena Ernman. Dietro a tutto questo anche l’esperto di marketing Ingmar Rentzhog fondatore della startup «We do not have time». Si scoprirà poi che il libro di Ernman non c’entra né col clima, né con Greta.

Per quanto riguarda invece le allusioni in base alle quali la ragazza sarebbe stata una marionetta di Rentzhog ci basta ricordare chenon collabora più con lui e cheper sua stessa decisione ha chiuso i rapporti; piuttosto insolito per una marionetta. I due si conoscono perché Rentzhog aveva condiviso su Facebook il 20 agosto 2018 le immagini del suo sciopero scolastico.

https://www.facebook.com/rentzhog/posts/10155571949555736

Passava lì per caso? Se lo sciopero lo fai davanti alla sede del Parlamentole probabilità di incrociare uno come Rentzhog, che del clima si è occupato già da tempo -anche con figure di spicco come Al Gore -sono piuttosto alte.

Chi c'è dietro Greta secondo «la Verità»

Eppure «la Verità» queste domande continua a porsele, rilanciate recentemente anchesu Dagospia:

Per caso o per fortuna, proprio in quel momento si trova nei paraggi Ingmar Rentzhog, fondatore a settembre 2017 della startup We don' t have time (letteralmente «non abbiamo tempo», ndr), creata con l' intento di promuovere il lancio di un nuovo social network (previsto per il 22 aprile prossimo) finalizzato a sensibilizzare l' opinione pubblica sul clima, e che punta a raccogliere in breve tempo 100 milioni di iscritti.

L'ambientalismo «radicale» di Greta secondo «il Giornale»

Il filosofo liberale Carlo Lottierisu ilGiornale continua a lamentare l'«ambientalismo radicale» creatosi attorno alla ragazza, che tenderebbe a «semplificare ogni cosa sulla base di schemi moralistici». Poi ci sono le grandi apparizioni pubbliche:

A Katowice la Thunberg è intervenuta come rappresentante di un'organizzazione che si chiama Climate Justice Now. Insomma, la rete dei movimenti ecologisti ha deciso di non mandare un cinquantenne consapevole della complessità dei problemi e ha giocato con grande freddezza la carta mediatica di un volto ancora infantile schierato a difesa del mondo intero.

Su una cosa possiamo essere tutti d’accordo: «Il cambiamento climatico è questione non semplice e si tratta, per giunta, solo di una parte del problema». L’altra parte siamo noi, quelli un po’ più vecchi di Greta e dei suoi coetanei, a cui riserveremo buona parte delle conseguenze, che in parte già si registrano.

Le istanze di Greta potrebberoapparire radicali solo se si negasse il riscaldamento globale, o la responsabilità dell’attività umana nel fenomeno. Purtroppo però le prove ariguardo ormai sono davvero difficili da ignorare – siamo certi che il filosofo le conosca bene -e vedono concorde la quasi totalità della comunità scientifica. Si parla ormai apertamente di «dati catastrofici».

La psicologiadella macchina del fango

In generale una campagna efficace necessita di fondi ma anche di influencer, o meglio «testimonial», come Leonardo Di Caprio che ha prestato il suo volto al documentario prodotto nel 2016 «Before the flood». Di Caprio va in giro a intervistare personalità importanti, come Elon Musk, per parlare delle conseguenze del riscaldamento globale e delle nostre responsabilità.

Grazie alla sua bella faccia Di Caprio è riuscito a strappare un po’ di attenzione, quelloche – può piacere o meno – filosofi e scienziati più esperti non sono riusciti a fare. Questo ha richiesto una produzione,finanziamenti, incassi, e meri interessi di profitto.Queste dinamiche possono interessare anche l’allestimento di un social network dedicato alle tematiche ambientali – una delle mission della startup di Rentzhog – come quello di cui accenna lo stesso Lottieri:

Il progetto di un nuovo social network volto a sensibilizzare il pubblico in materia climatica. L'obiettivo è di agganciare il mondo ambientalista in una sorta di Facebook tematico: ed è facile immaginare quali siano i risvolti commerciali dell'operazione.

Cosa c’è dietro gli articoli contro Greta

L’unica colpa di Greta è quella di aver saputo rendere interessante un problema ormai eccessivamente ignorato, nonostante la sua importanza. Mentre altri più adulti non sono riusciti nel compito. Ma forse è proprio l’argomento il problema. Tra chi ha diffuso in passato contenuti che tendono a «ridimensionare» il problema ci sono – casualmente – proprio il Giornale e la Verità. Il 3 febbraio 2007 il Giornale pubblica un articolo dal titolo «Clima, l’apocalisse degli scienziati dell'Onu», dove si riportano le affermazioni dell’economista Kendra Okonski:

Secondo la Okonski, dietro la divulgazione di una regolamentazione mondiale sull'emissione di gas serra, ci sarebbero vari gruppi di interesse, formati da politici «che vogliono farci credere che salveranno il mondo», industriali, che beneficerebbero di finanziamenti pubblici per la produzione di «energia pulita» ad alto costo e ideologi dell'ambientalismo, che vogliono imporre al mondo una prospettiva catastrofista.

Nell’agosto 2017 compare un articolo intitolato «Il nuovo rapporto sul riscaldamento globale? Il solito catastrofismo smentito dalla logica», dove si sostiene chiaramente che possiamo dormire tutti sonni tranquilli:

Ma veniamo all’allarme. Se di allarme si tratta. Dunque fatemi capire, la temperatura media del pianeta – qualunque cosa ciò significhi, ammesso che significhi qualcosa – ha una variazione di 0,9 gradi in 135 anni e questo lo chiamiamo cambiamento climatico? Non bisogna essere premi Nobel in geologia per comprendere che se questi sono i fatti, allora possiamo tutti dormire sonni, non tranquilli, ma tranquillissimi.

In un articolo dello scorso 2 aprile su la Verità leggiamo un articolo intitolato «Da 30 anni c’è chi prevede la fine del mondo», sorprendentemente dal sommario scopriamo che non è tutto come volevano farci credere:

I catastrofisti incolpano dei mutamenti climatici le attività umane e invocano misure drastiche. Ma gran parte degli scienziati ritiene che il riscaldamento globale sia di origine naturale. Dalle statistiche si scopre che gli uragani più violenti sono stati tra il 1850 e il 1930.

Non si capisce su quali basi si sostiene che «buona parte degli scienziati» neghino la natura umana del problema, visto che è vero l’esatto contrario. Siamo noi che dal 1850 in poi abbiamo reintrodotto in atmosfera quantità abnormi di gas serra, non la natura.

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