Come mangiare uova di Pasqua senza favorire la schiavitù
Ogni volta che si rompe un uovo di Pasqua e si scopre la sorpresa al suo interno, la gioia è incontenibile. Con spensieratezza, ne regaliamo e ne mangiamo di cioccolata durante le festività. Ma c'è una cosa che ignoriamo: nelle piantagioni di cacao lavorano milioni di bambini, pagati meno di un dollaro al giorno.
Per far spazio a questa produzione, il 90% delle foreste dell'Africa Occidentale sono state bruciate. Mentre la domanda di cioccolato in Europa e in Nord America continua a crescere, i cambiamenti climatici causati dalla deforestazione colpiscono maggiormente quelle persone che vivono nelle zone povere del pianeta. Che bella sorpresa, non è vero?
Infanzia rubata
Schiavi, per circa 0,78 dollari al giorno. Sono 2,1 milioni i bambini che, solo in Africa Occidentale, lavorano nelle piantagioni di cacao dall'età di 5 anni. A dirlo, il report biennale di Cocoa Barometer, consorzio di ong impegnate nel combattere lo sfruttamento in Africa. La maggior parte di quei bambini non andrà mai a scuola con uno zainetto sulle spalle. La maggior parte di loro resterà sfruttata per sempre: il prezzo pagato per la manodopera nell'industria del cacao non permetterà mai di emanciparsi da queste condizioni lavorative.
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Come mai? Sono le leggi del mercato: la domanda di cacao proveniente dal Nord del mondo non ha mai ricevuto arresti e i Paesi produttori hanno distrutto sempre più le foreste native per lasciar spazio alle piantagioni. Adesso, con le aree di coltivazione così estese, l'offerta è cresciuta e la concorrenza impone ai produttori di abbassare il prezzo per vendere più degli altri.
Mentre il Ghana applica politiche nazionali per correggere il prezzo di vendita del cacao e mantenerlo alto, la Costa d'Avorio è tra le principali responsabili del declino del prezzo. Nell'ultimo ventennio il Paese ha investito tantissimo nella produzione e adesso, ogni anno, si accumulano centinaia di migliaia di cacao invenduto.
Resta comunque un lavoro molto pericoloso per i bambini-schiavi nelle piantagioni. Girano per le piantagioni con affilati machete per raccogliere i frutti, trasportano carichi pesantissimi, vivono a contatto con i pesticidi e fertilizzanti chimici e possono lavorare fino a 100 ore a settimana. Inoltre, soprattutto nei periodi piovosi, le piantagioni diventano luoghi di diffusione endemica della malaria: soprattutto in Costa d'Avorio, l'incidenza di contrazione del virus aumenta per chi lavora nei campi e la malaria è una delle maggiori cause di morte per i bambini ivoriani.
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Brucia e produci
Le foreste di Goin Debé, Scio, Haut-Sassandra, Tai. I parchi di Mont Peko e Marahoué. Luoghi dell'Africa Occidentali che un tempo erano paradisi della biodiveristà. Ma la pratica del "taglia e brucia" per far spazio alle piantagioni ha portato alla distruzione di quasi il 90% delle foreste native. Con la distruzione del proprio habitat, anche la popolazione di scimpanzé e degli altri animali si sta riducendo drasticamente.
Meno foreste autoctone, più fattori che favoriscono i cambiamenti climatici. Le calamità naturali che si abbattano nei Paesi sul golfo di Guinea creano danni enormi per le persone che non hanno mezzi di protezione, né fisici né economici, per sopravvivere ai disastri climatici.
In Ghana la deforestazione legale va di pari passo con la deforestazione illegale delle aree protette. La foresta pluviale autoctona si è ridotta, negli ultimi decenni, del 2% ogni anno e la causa principale è proprio la conversione degli ettari in aree di coltivazione di cacao.
In Costa d'Avorio, dal 1960 al 2010, la foresta pluviale è passata da coprire 16 milioni di ettari, la metà del Paese, a 2 milioni di ettari. 50 anni di deforestazione, spesso illegale e incontrollata: il 40% della produzione del cacao ivoriano viene coltivato intensivamente in quelle che, solo sulla carta, sono parchi naturali e aree protette.
Cacao in numeri
- Circa 6 milioni di agricoltori di cacao in tutto il mondo;
- Dai 40 ai 50 milioni di persone dipendono totalmente dalla produzione di cacao;
- Il 70% del cacao proviene dall'Africa Occidentale;
- Le regioni dove si coltiva il cacao si trovano entro il 20° parallelo dall'equatore;
- Le coltivazioni, sul mercato mondiale, hanno un valore annuale di 5,1 miliardi di dollari;
- Nel mondo, si calcola che ci siano circa 30 milioni di persone che vivono in schiavitù. 10 milioni di esse sono bambini, 2,1 lavorano nella produzione di cacao;
- Il traffico di bambini-schiavi è un problema in tutta l'Africa Occidentale: per lavorare in una piantagione di cacao, il costo medio a cui un bambini viene venduto è di 250 dollari.
Un cioccolato diverso è possibile
Sono molte le Ong e le associazioni che si occupano di tracciare la filiera del cacao per testare la trasparenza del commercio e la produzione etica. Un esempio virtuoso è quello della marca di cioccolato olandese, la Tony's Chocolonely, che riesce a stare in piedi lavorando e vedendo del cacao 100% slave-free. Il loro modello si basa su una catena di collaborazioni dirette con gli agricoltori e rapporti commerciali basati sull'equità dei guadagni.
Se sull'uovo di Pasqua che state acquistando è presente uno di questi loghi, vuol dire che il vostro acquisto, senza dubbio alcuno, non andrà ad alimentare il fenomeno della schiavitù infantile o della deforestazione: il cacao utilizzato per fare quel cioccolato è stato coltivato secondo principi etici e le persone che hanno lavorato per la produzione hanno ricevuto un compenso equo.
Fortunatamente, esistono delle eccezioni: sono più di cento le grandi aziende che lavorano il cacao assicurandosi che la filiera della materia prima utilizzata segua i principi del Fair Trade. Fanno parte di una grande coalizione, la Slave Free Chocolate, che si propone di porre fine alla schiavitù e al lavoro dei bambini nell'industria del cacao. Il consorzio Cocoa Barometer raccoglie invece più di 15 organizzazioni non governative europee e, ogni due anni, redige un report sullo stato dell'industria del cacao. Sono le stesse ong che esercitano pressioni sulle grandi multinazionali dolciarie affinché interrompano ogni tipo di rapporto con i produttori africani che non garantiscono minimi standard etici.
Esiste poi la onlus C.r.e.e.r, impegnata nel reinserimento e nell'educazione di quei bambini che non hanno mai vissuto la propria infanzia perché sono stati venduti dalle proprie famiglie ai trafficanti o perché, dagli stessi parenti, sono stati costretti a lavorare già dalla più tenera età. L'associazione lavora assiduamente in Africa Occidentale e «la situazione è particolarmente grave nelle piantagioni di cacao della Costa d'Avorio», scrivono sul loro sito.