Reddito di cittadinanza, licenziati Fca salgono sul campanile: «Noi prova vivente che Di Maio non ha abolito la povertà»
Sono passate da poco le due di venerdì notte quando Mimmo Mignano e Marco Cusano salgono sul campanile della Chiesa del Carmine, in piazza Mercato a Napoli. Da quel momento cominciano anche lo sciopero della fame e della sete. Cosa chiedono? «Noi non chiediamo nulla. Non stiamo chiedendo un posto di lavoro. Noi siamo i veri poveri. E non abbiamo diritto al reddito di cittadinanza». «Reddito di cittadinanza per licenziati non c’è», recita il grande striscione che hanno esposto. Mimmo e Marco sono due dei cinque operai licenziati nel 2014 dalla FCA – Fiat Chrysler Automobiles, dopo aver esposto, nel corso di una manifestazione a Pomigliano d’Arco, Napoli – la città in cui è cresciuto il vicepremier Luigi Di Maio – un manichino impiccato con la faccia dell’allora amministratore delegato Sergio Marchionne. Volevano denunciare, dicono, quelli che definiscono i “suicidi Fiat” del polo logistico di Nola. E per questo hanno sempre definito quel licenziamento «politico».
Da allora è cominciata una lunga battaglia legale che ha visto la corte d’appello di Napoli reintegrarli temporaneamente nel 2016, la Fiat ricominciare a pagarli, ma senza reintegrarli, e la Cassazione che, in via definitiva, nel 2018 conferma il licenziamento. Ora l’azienda chiede indietro ai lavoratori le mensilità percepite in questi due anni: 9-10mila euro a testa. «Abbiamo provato a fare domanda per il reddito di cittadinanza, ma non è stata accolta per nessuno di noi», spiega a Open dalla cima del campanile Mimmo Mignano. La telefonata è spesso disturbata dal vento. Non viene accettata, dice, perché non rispetta i parametri, a causa del reddito percepito nel 2017 da Fiat. « Io non lo so questo reddito a chi verrà dato e chi lo prenderà.
Dal 6 giugno 2018 siamo senza stipendio e l’azienda ora rivuole indietro quel reddito. La nostra battaglia qui vuole rappresentare i migliaia di lavoratori nella stessa situazione: non siamo gli unici a non avere diritto al reddito di cittadinanza per questioni burocratiche», dice ancora Mimmo. «Siamo stati raggiunti da tre operai della ditta Bruscino Ambiente di San Vitaliano in provincia di Napoli, in piazza a sostegno dell’azione dei due operai. Ci hanno contattati quattro operai dell’Hitachi di Napoli, prima terziarizzati e poi licenziati».
Il presidente dell’Inps Pasquale Tridico ha chiamato al telefono, nel pomeriggio di oggi, sabato 20 aprile, i due operai licenziati dalla Fca che non riescono a percepire il reddito di cittadinanza. «Ho fissato un appuntamento martedì pomeriggio con il direttore Inps dell’area metropolitana di Napoli. In virtù della loro situazione eccezionale attueremo una procedura straordinaria che consenta l’erogazione, superando la difficoltà tecnica esistente», dice Tridico all’Ansa. Il presidente dell’Inps ha chiesto ai due di interrompere la protesta.
«Noi non scendiamo da qui», risponde deciso Mimmo Mignano a Open. «Per mesi siamo stati presi per i fondelli. Non abbiamo neanche un centesimo in tasca. Non ci fidiamo più di nessuno. Niente di personale con Tridico: ma non scendiamo a causa di tutte le promesse che ci sono state fatte nel tempo, anche da Di Maio. Promesse disattese». All’incontro di martedì, spiega, «manderemo un rappresentante della nostra organizzazione sindacale. Se ci saranno risultati, allora scenderemo. Altrimenti continueremo la lotta».
Intanto passeranno Pasqua qui sul campanile. «Siamo noi i veri poveri», dice Mimmo. «I compagni sotto ci hanno chiesto di scendere. Ma noi abbiamo detto loro di andare, per Pasqua. Di stare con le loro famiglie e non qui sotto con noi: non vogliamo rubare la libertà di nessuno. Vogliamo soffrire da soli. E mettere a nudo cos’è la povertà». La battaglia legale, dice Mimmo Mignano, non è ancora finita: «Una settimana fa abbiamo saputo che il nostro caso verrà discusso alla Corte Europea dei diritti umani: i giudici di Strasburgo hanno reputato valido il nostro ricorso, che è andato oltre lo sbarramento preliminare che ne blocca circa il 90%», spiega Mignano.
Mimmo non è uno qualunque. Mimmo è famoso. Dopo la sentenza della Cassazione che confermava il licenziamento, si è incatenato davanti alla casa della famiglia del vicepremier Luigi Di Maio a Pomigliano d’Arco e si è cosparso il capo di benzina. Bloccato dalla forze dell’ordine, è stato portato in ospedale. E qui ha ricevuto la visita del leader 5 Stelle. «Tutte promesse mancate, mai mantenute», dice oggi a Open. «Quando venne in ospedale disse che il governo stava con noi e che avrebbe attuato tutte le misure per risolvere il nostro problema». Di Maio «è lo stesso che si affaccia al balcone e annuncia che ha abolito la povertà», chiosa l’operaio. «Ecco, venga qui sotto – dove ci sono altre persone licenziate e senza reddito – a dirlo. Ce lo dica in faccia. Chi ci governa dice che ha abolito la povertà. Noi siamo la prova provata che non è vero. Ci farebbe piacere sapere cosa ne pensa».
Mugnano racconta anche che, durante quella visita in ospedale, Luigi Di Maio gli diede un numero di telefono. «Mi disse: ‘ecco, questo è il mio numero, chiamami’. Ho provato a chiamare: ha sempre squillato a vuoto e non mi ha mai risposto nessuno». Mimmo ha 52 anni e una figlia. Il suo compagno di protesta, Marco «ha due uova sode in frigo e non ha più nulla. Non può più pagare nemmeno la pigione di casa: e il proprietario ha detto che lo manda via. Secondo te è bello stare qui sul campanile in sciopero fame e sete? Cominciamo anche ad accusare debolezza. Ma che alternativa abbiamo?». E l’altro vicepremier, Matteo Salvini, lo avete mai sentito? «Noooooo. E quando ci guarda?», dice Mimmo.
Solo uno dei cinque operai Fiat licenziati nel 2014 non ha chiesto il reddito di cittadinanza: Massimo Napolitano. Pochi mesi fa è partito per l’Inghilterra, alla ricerca di un lavoro. «Nel frattempo ha fatto le pratiche per il reddito, e ci racconta che lì è tutta un’altra cosa», dice ancora Mimmo Mignano. «Passeremo la Pasqua qui. C’è stata tanta solidarietà, ma la solidarietà non basta. Se scendiamo dal campanile, scendiamo di nuovo nel buio. Quindi è meglio stare qui a prenderci il freddo uniti, io e Marco. A 52 anni un lavoro non lo trovo: Oggi se non sei altro 1.80, tatuato, muscoloso e giovane… ma chi ti prende a lavorare. E Marco di anni ne ha 53 anni. «Oggi. Proprio oggi è il suo compleanno. Questo è».