Un nuovo tipo di plastica per risolvere il problema del riciclo
Negli Stati Uniti viene riciclato meno del 10% dei materiali plastici. La presenza di coloranti e additivi è tra le ragioni alla base della difficoltà di riciclare ma sembra non si possa farne a meno.I metodi tradizionali portano solitamente alla produzione di «pellet grigi sporchi», poco appetibili, non solo negli Stati Uniti.
Un recente studio pubblicato su Nature Chemistry – di cui al momento si conosce solo l’abstract – mostra come siano state sintetizzate alcune plastiche in cui sono presenti legami chimici particolari, maggiormente scindibili e quindi più facilmente riciclabili:
Qui, mostriamo che la plastica di nuova generazione, polimerizzata usando legami dinamici di ketoenamina covalenti, consente il recupero dei monomeri dagli additivi comuni, anche in flussi di rifiuti misti.
Questo tema non riguarda solo gli Stati Uniti ed è estremamente complesso. Ne parliamo assieme al professor Pellegrino Conte docente di chimica agraria al Dipartimento di Scienze agrarie e forestali dell’università degli studi di Palermo: «Il problema è proprio la natura dei legami chimici presenti all’interno delle plastiche».
Possiamo fare a meno di coloranti e additivi?
«Coloranti e additivi- dice il professor Conte – vengono impiegati per diversi utili motivi. Questi ultimi per rendere le plastiche resistenti ma dipende anche dall’uso e dal contenuto che l’oggetto dovrà ospitare. Nel caso di alcune particolari plastiche, i coloranti servono a evitare l’alterazione degli alimenti, l’olio andrà quindi in contenitori colorati in modo che la luce non ne influenzi la natura organolettica. Tornare al vetro porrebbe altri problemi, anche se sicuramente rispetto alla plastica è più riciclabile».
«La plastica tradizionale – continua il professore riferendosi allostudio di Nature – consiste in sequenze di legami di carbonio. In questo caso vengono introdotti doppi legami carbonio-ossigeno, in cui il carbonio può essere legato anche all’azoto, che sono più facilmente trattabili. Basta utilizzare delle soluzioni acquose di acidi a temperatura ambiente perché si possa avere l’idrolisi, decomponendo quindi la plastica. Tutto questo senza passare per l’incenerimento. Si tratterebbe di un approccio diverso dal riciclo cosìcome lo conosciamo oggi».
Limiti del riciclo e dellatermovalorizzazione
Science, citando l’articolo di Nature Chemistry,si chiede se i produttori utilizzeranno questa nuova plastica e se gli impianti di riciclaggio la accetteranno. Da un lato quindi c’è il problema del riciclaggio, dall’altro quello economico di ottimizzare gli impianti, senza dover ricorrere ogni volta alla termovalorizzazione tramite inceneritori.
«L’incenerimento – sostiene il professore Conte – è la cosa più facile da fare, con tutti i suoi limiti. Introducendo altri metodi, l’impianto di riciclaggio deve comunque essere riorganizzato, ottimizzando i macchinari per le nuove tipologie di reazione. Questo probabilmente sarebbe il “costo”. Va sempre fatto un ragionamento anche a livello commerciale, rispetto anche a quelli che saranno i tempi dei cicli di riciclaggio per ammortizzarne i costi».
Conte ci ricorda anche che l’incenerimento non si può fare con tutte le plastiche:«Quelle contenenti cloro non le incenerirei, perché il rischio di rilasciare diossine sarebbe molto alto. Quelle che possono essere incenerite, se vengono messe in un gassificatore, possono portare alla produzione di syngas (gas di sintesi) che può essere impiegato nella produzione energetica. Fermo restando che si può ottenere anche materiale di risulta che deve essere in qualche modo disposto in discarica.
Parliamo appunto di “termovalorizzatori” – prosegue il professore di Chimica -che quando seguono tutte le norme esistenti nell’Unione europea non hannoimpattiambientali:immettononell’atmosfera solo acqua, mentre invece eventuali particolati o residui di altra natura possono essere raccolti e disposti in discarica».
La bioplastica non basta
Altra risorsa alternativa è quella della bioplastica. «Quando metti il termine “bio” davanti alle cose ottieni spesso il classico specchietto per le allodole – osserva il professore -. Certo,puoi ricavare delle plastiche da biomasse come ad esempio le patate, in quel modo il materiale è più facilmente biodegradabile»
«Sappiamo benissimo però – dice Conte – che per avere i classici sacchetti della spesa in plastica compostabile non puoi utilizzare semplicemente l’amido delle patate, perché se piove e il sacchetto si bagna si rompe subito: comunque occorre aggiungere a questa plastica degli additivi per rinforzare il materiale, rendendolo adatto allo scopo. Parliamo quindi di una plastica solo in parte “bio”».
Così comeaccennato il problema della plastica e del suo riciclo sembra molto più complesso di quanto si potrebbe immaginare.Anche il movimento messosi in moto attorno aGreta Thunbergper fare fronte ai cambiamenti climatici e cambiare il nostro stile di vitadeve tenerne conto.
Greta Thunberg non può fare tutto da sola
«Ritengo che l’attività di Greta sia estremamente utile sotto questo aspetto – continua Conte -oggi si parla tantissimo di lei e della possibilità di affrontare i problemi ambientali, almeno ci sono ragazzi che in qualche modo sembrano entusiasti di poter fare qualcosa per il loro futuro».
«Questa la trovo una cosa estremamente positiva. Per quanto riguarda il modo di andare poi ad affrontare i problemi – prosegue il professore – non sonoancora molto chiari tutti quelli legati al riciclo dei diversi materiali che vengono utilizzati. Oggi ad esempio va per la maggiore l’utilizzo delle energie rinnovabili, però ci siamo mai chiesti alla fine del ciclo di vita dei materiali che fine fanno? Quelli sono contaminanti non biodegradabili. Quindi come la mettiamo? Lo stesso discorso possiamo farlo con le plastiche. Greta fa un lavoro sacrosanto, magari ci fossero più persone come lei. Poi però tutti questi problemi vanno approfonditi e affrontati senza semplificazioni eccessive».