La proposta del consigliere M5S Piergiovanni Alleva: «Lavorare meno per assumere di più»
Può esserci una chiave per rendere il Reddito di cittadinanza meno esposto al rischio dell'assistenzialismo e più ancorato alle politiche attive per il lavoro? Lo abbiamo chiesto al consigliere regionale dell'Emilia Romagna Piergiovanni Alleva, che ha fornito una rilettura del sussidio per guardare sull'immediato all'aumento dell'occupazione.
Giuslavorista e ordinario in pensione di diritto del lavoro all'Università di Bologna, Alleva ha alle spalle un percorso nel sindacatoe una gioventù a Lotta continua. Èun teorico del «Lavorare meno, lavorare tutti», slogan della sinistra radicale amato anche dal neopresidente dell'Inps Pasquale Tridico, suo «amico e vecchio compagno».Su questa linea di pensiero ha basato la sua rivisitazione del provvedimento targato 5 Stelle.
Sia Tridico che Alleva fanno parte di quel gruppo di accademici «supercomunisti» che hanno dato fiducia al Movimento 5 Stelle nell'ambito delle politiche per il lavoro. Alleva ha contribuito in prima persona alla stesura del Decreto dignità (che ha messo fine al Jobs Act firmato PD) e che collabora gratuitamente con il Movimento senza aderirvi.
Qual è il problema con il Reddito di cittadinanza così com'è ora?
«Partiamo da un presupposto: gli Stati hanno il dovere di intervenire con i sussidi in favore delle masse di emarginati, disoccupati e inoccupati. Con l'approvazione del Reddito di cittadinanza siamo arrivati molto in ritardo rispetto al resto dell'Europa.
In Italia, però, il tasso di disoccupazione è talmente alto che ci si è accorti presto che le richieste sarebbero state troppe e i sussidi insufficienti per garantire un'esistenza dignitosa. E un provvedimento che umilia chi ha difficoltà non è utile a nessuno. Il lavoro significa dignità, e la redistribuzione dei sussidi e delle ore lavorative serve a dare dignità a chi entra nell'attività produttiva».
E allora com'è possibile salvare il Reddito di cittadinanza dalla deriva assistenzialistica?
«Immaginiamo che in un'azienda ci siano alcuni lavoratori che preferirebbero lavorare 4 giorni a settimana invece che 5. E immaginiamo che l'azienda abbia assunto un disoccupato che riceve il Reddito di cittadinanza beneficiando dei sussidi previsti dal provvedimento.
A quel punto si potrebbe pensare di fare una mossa ulteriore: i 780 euro del Reddito di cittadinanza, invece di andare direttamente al disoccupato, potrebbero venir gestiti dalle aziende e redistribuite negli stipendi di 4 occupati ai quali è stato ridotto l'orario lavorativo. In questo modo verrebbe assunta una persona in più ogni 4 dipendenti, senza ulteriori costi per l'azienda o penalità salariali per i lavoratori.Una cosa simile era stata già proposta nel Jobs Act, come misura però laterale ed eventuale. Sto parlando del contratto di solidarietà espansiva, attraverso il quale i sindacati e l'azienda si potevano accordare per diminuire le ore lavorative di un dipendente in vista dell'assunzione di disoccupati. Grazie al Reddito di cittadinanza si risolve il problema di come andare a colmare le ore non lavorate dai dipendenti».
Ma bisognerebbe che a tutti spettassero i 780 euro di RdC, mentre sappiamo che gli importi dei sussidi sono diversi gli uni dagli altri, a volte anche radicalmente.
«Ovviamente il sistema non può essere preso e spostato così. Ma delle soluzioni ci sono: si potrebbe utilizzare il maniera più forte il welfare aziendale, ad esempio.Tra l'altro, se l'azienda deve coprire una perdita più alta di 300 euro per ogni lavoratore, allora è chiaro che il discorso del Reddito di cittadinanza non basterebbe. Ma altri espedienti si possono trovare, l'importante è la direzione politica volta a dare lavoro a tutti e a non mantenere le differenze».
Chi ne trarrebbe maggior beneficio?
«I giovani in primis, perché potrebbero così trovare la loro prima occupazione. Magari con contratti di apprendistato, che gli consentirebbero di formarsi realmente. E di conseguenza le aziende, che grazie al contratto di apprendistato possono avere uno sgravio dei contributi.
«E poi le persone che hanno famiglia, alle donne o agli uomini lavoratori che preferirebbero avere più tempo per gestire la vita privata grazie alla riduzione delle ore lavorative».
Qual è il suo rapporto con il Movimento?
«Io sono un supercomunista. Non ho mai aderito formalmenteal Movimento 5 Stelle. A un certo punto hanno parlato di me come il consigliere bolscevico di Di Maio, e dei consiglieri come di un "giglio rosso" dietro alle sue leggi. Allora io e Tridico abbiamo deciso di collaborare con il Movimento in maniera gratuita e solo su richiesta.Ma una cosa vera c'è: io sono un supercomunista, sì, mache apprezza la sincerità del Movimento. Se posso, dò una mano. Sono convinto che potremo lavorare insieme anche sul salario minimo orario».
Lei ha avuto un ruolo anche nella stesura del Decreto Dignità
«Ho partecipato attivamente alla formulazione del decreto dignità perché trovo in loro un interesse vero e sincero per i lavoratori. Mentre il Pd ha agito da boia, nel M5s ho trovato una sensibilità, talvolta ingenua, ma vera e sincera. Se loro mi chiedono – e lo fanno- delle consulenze, gliele dopiù che volentieri. L'altro giorno ero a Roma e l'avvocatessa Jessica Costanzo del M5s ha presentato una legge che abbiamo scritto noi consiglieri in materia di cooperative spurie, caporalato e appalti sulla manodopera. Evidentemente se si vogliono le stesse cose, ci si aiuta».