Aboubakar Soumahoro: «Cos’è il 25 aprile per noi immigrati e cosa vorremmo che fosse»
Resistenza e liberazione. Due parole che costituiscono le fondamenta dello Stato italiano così come lo conosciamo oggi. Due concetti che legano a doppio filo presente e passato, in un’Italia che cambia aspetto ma che non smette di inseguirle. Negli ultimi tempi, molti esponenti politici hanno messo in discussione la necessità di continuare a celebrare la ricorrenza.
Ma secondo Aboubakar Soumahoro, il sindacalista dell’Unione Sindacale di Base divenuto il volto dei braccianti durante le proteste per la morte di Soumaila Sacko, questi concetti sono tutt’altro che trascurabili. Con il suo lavoro, Aboubakar rappresenta gran parte dei “nuovi italiani”: la maggior parte di loro è ancora vittima di un’emarginazione dovuta alla mancanza di memoria storica. «La storia di un Paese va ricordata- ha detto a Open – per fare in modo che ciò che è stato non si ripeta».
Perché è necessario ancora oggi celebrarela Liberazione?
«È come chiedersi quale sia l’importanza della memoria. Senza memoria è impossibile proiettarsi nel futuro e non si può costruire un avveniremigliore. Per coniugare insieme cioè che è e ciò che saràc’è bisogno di ricordare sempre le tappe importanti del passato. Per questo motivo noi possiamo e dobbiamo assolutamente salvaguardarla, cercando di condividerla insieme ai giovani e affiancandola sempre ai temi della giustizia sociale».
Quali sono i rischi di una memoria messa in discussione?
«È una questione innanzitutto di linguaggio. Il linguaggio può sdoganare e banalizzare degli eventi che hanno segnato la vita di questo Paese e che di conseguenza sono presenti nellanarrazione di noi stessi come popolazione. L’uso della parola ha una responsabilità non indifferente».
Come può la ricorrenza servirci da chiave di lettura per il presente?
«Attualizzare la memoria non vuol dire relativizzarla: vuol dire provare a condividerla con tutto il tessuto italiano, anche con quella dimensione di meticciato che c’è. Bisogna costruirla ogni giorno insieme. Certo, non basta celebrarlo in quella data e poi il 26 rimetterlo in cantina: bisogna fare in modo che ogni giorno i valori siano condivisi nei rapporti, nelle relazioni. Vivere il 25 aprile vuol dire farlo esistere ogni giorno. Bisogna che la cultura dei partigiani e della resistenza sia tenuta viva quotidianamente».
Cosa vuol dire, in un’Italia che vuole essere – ed è- multiculturale, ricordare il 25aprile?
«Il 25 aprile è per tutti. Non c’è nessuna distinzione tra italiani vecchi, italiani nuovi, prime generazioni, seconde generazioni. È per tutte le persone che ogni giorno sono partecipi nel portare avanti in ambito sociale e lavorativo certi valori e culture. La storia di questo Paese che va condivisa e tramandata».
In quest’ottica, come possiamo parlare ancora di Resistenza?
«In molti modi. Ma partendo da una delle tematiche che più segna il nostro presente, si può parlare di resistenza nei confronti di un modello economicoin cui spesso chi non ha la possibilità di avere un lavoro è considerato una nullità. Fare i conti con la Resistenza significa confrontarsi con la precarietà della vita: questa memoria va salvaguardata e condivisa con le nuove generazioni per fare in modo che ciò che è stato, che certi atteggiamenti che sono stati al centro di quel passato, non abbiano più spazio».