Rogo in un ghetto a Foggia, muore un migrante. Salvini: «Gli insediamenti ereditati dalla sinistra sono un problema»
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Si chiamava Samara Saho il gambiano di 26 anni morto nell'incendio scoppiato la notte scorsa in una baracca del ghetto del Cara di Borgo Mezzanone. A testimoniarlo, gli altri residenti della baraccopoli. Le fiamme, divampatenel centro di accoglienza, a una decina di chilometri da Foggia, sarebbero scoppiate per un corto circuito provocato dai tanti allacci abusivi alla corrente elettrica che si trovavano dentro il ricovero di fortuna.
Il migrante è stato sorpreso nel sonno ed è morto carbonizzato. La baracca avvolta dalle fiamme sorgeva a poca distanza dalla zona dove sorgevano le baracche abbattute alcune settimane fa.
Sull'accaduto stanno indagando i carabinieri. La vittima non è stata ancora identificata con certezza perché sul posto non sono stati trovati i suoi documenti.Le generalità sono state fornite da altri ospiti del ghetto che conoscevano il giovane gambiano. Stando a quanto raccontato da altri migranti, il 26enne raccoglieva abiti usati che poi rivendeva all'interno del ghetto.
«L'incendio a Borgo Mezzanone con un immigrato morto è una tragedia che conferma che i grandi insediamenti di stranieri, legali e abusivi, che abbiamo ereditato dalla sinistra erano e sono un problema», ha commentato il vicepremier leghistaMatteo Salvini.
«Abbiamo il dovere di riportare sicurezza, ordine e legalità continuando con i controlli, gli sgomberi e i progressivi svuotamenti», ha ribadito il ministro dell'Interno Matteo Salvini che sulla vicenda ha ricordato i provvedimenti emanati dal decreto Sicurezzache nei mesi scorsi ha portato allo sgombero di diversi centri di accoglienza in tutta Italia.
«L’abbiamo fatto a San Ferdinando (dove la baraccopoli abusiva era arrivata a contenere fino a 3mila persone) – ha aggiunto – e stiamo intervenendo a Borgo Mezzanone (ora nel Cara ci sono meno di 150 ospiti, nel 2017 erano circa 1.600 e recentemente abbiamo cominciato ad abbattere l’insediamento abusivo nato nei dintorni dove sono gravitate fino a 4mila persone). Non solo. Abbiamo chiuso i grandi centri di accoglienza veneti a Cona e Bagnoli e stiamo azzerando le presenze a Mineo. Andiamo avanti, passando dalle parole ai fatti», ha ribadito ancora una volta.
«Era un mio amico. Lo avevo salutato ieri sera e questa mattina ho saputo che era morto nel rogo della baracca».Aparlare è Muhammed Mboob, un amico della vittima. Il senegalesedi 22 anni, anche lui ospite del ghetto, ha commentato le condizioni del centro: «Noi veniamo qui in Italia perché vogliamo lavorare. Non vogliamo fare del male – ha affermato -. Vogliamo solo lavorare ma qui non c'è lavoro. Io faccio appello a Papa Francesco e al vostro presidente Sergio Mattarella perché ci aiuti. Non possiamo vivere così. In queste baracche si rischia di morire. Vogliamo lavorare e vivere come uomini non come capre».