Perché Lega e 5 Stelle litigano sulle autonomie?
Sembra che un’altra tregua armata all’interno del governo stia cadendo per sfociare in una guerra vera e propria. Il dossier autonomie era infatti stato congelato nello scorso febbraio, viste le insanabili divergenze: tutto era stato rimandato al giorno successivo alle elezioni europee.
L’accelerazione, a trazione leghista, potrebbe portare a un provvedimento, prevedibilmente divisivo, sul tavolo del governo già la prossima settimana o al massimo quella successiva.
Nella selva degli scontri all’interno del governo ormai è difficile orientarsi e capire chi abbia provocato per primo e da chi invece sia arrivato il fallo di reazione. Di certo il consiglio dei ministri dello scorso 23 aprile, al di là della soluzione di compromesso, ha scontentato tutti.
A Salvini non è riuscito il blitz, anche mediatico, dello stralcio del “Salva Roma” dal decreto Crescita, in piazza Colonna, davanti ai cronisti; Conte non ha nascosto l’irritazione, Di Maio ha rilanciato quindi sulle province, «Poltronifici», per il capo politico dei Cinque Stelle.
Le autonomie, quindi, bomba a orologeria a cui gli alleati avevano stoppato il timer fino ad oggi. A La Stampa Salvini dice: «I 5 Stelle cambiano idea spesso» e sugli argomenti fra cui valuta inaffidabili gli alleati troviamo anche le autonomie. Certo il sasso lanciato da Di Maio sulle province sembra essere arrivato a segno.
Come dire: se scontro deve essere, allora che sia sul tema che più ci divide. Che guerra sia. E questo vale sia che si tratti di vero scontro armato o di una rappresentazione scenica a vantaggio del proprio pubblico elettorale: differenziarsi per riconquistare un’identità definita e separata dall’alleato in vista delle europee.
Ma in cosa si dividono Lega e 5 Stelle sulle autonomie? Con il cosiddetto contratto di governo si è cercato di trovare un compromesso, messo nero su bianco, a scanso d’equivoci. Ma le sostanziali, grandi, differenze restano.
Non solo due forze politiche con storie completamente diverse, ma arrivate al governo grazie a un voto che ha spezzato in due il Paese. La Lega fortissima al Nord, i 5 Stelle al Sud. Un provvedimento sulle autonomie, soprattutto fiscali, come presentato nei mesi scorsi, favorirebbe il Nord e penalizzerebbe il Sud.
Oltre al contratto sulla carta, però, dai risultati delle politiche così territorialmente eterogenei, arrivava un messaggio chiaro dagli elettori: mantenere un equilibrio fra le due parti del Paese che si erano così divise nella scelta nelle urne.
Questo il patto non scritto, e non detto, fra Lega e 5 Stelle, che non è difficile immaginare sia stata anche una delle condizioni poste dal Quirinale alla nascita del governo. Spingere sulle autonomie, favorire il nord, e conseguentemente la Lega, spezzerebbe quel patto.
Così era arrivato lo stop da Di Maio: «Non possiamo creare cittadini di Serie A e di serie B» aveva chiosato il ministro del Lavoro. E quindi il rinvio al dopo elezioni europee. Oggi, lo scontro, come si diceva, forse reale, forse recitato. Ma i toni sembrano più duri di tempo fa, soprattutto sui principi su cui si basa il matrimonio. Non è solo Salvini a dichiarare di avere poca fiducia nell’affidabilità dei 5 Stelle.
Dal Movimento, e l’aria di divorzio sembra più vicina, è Barbara Lezzi, ministro per il Sud, che affonda: «Il desiderio di stare insieme non c’è mai stato. Siamo stati costretti dal risultato elettorale a governare insieme». E proprio in tema autonomie, ricorda «gli insulti e le invettive che ci ha riservato per anni la Lega».
Insomma, lo scontro nel governo dopo la Tav e il Congresso delle famiglie, temi certo caldi, ma che non agitano la pancia profonda del Paese, si inserisce in una delle fratture più profonde fuori dal Palazzo: quella fra Nord e Sud. Per possibilità lavorativo, infrastrutture e fiscalità.
A riguardare la mappa dei risultati elettorali del 4 marzo, tutta verde al Nord e tutta gialla al Sud, e considerato che manca meno di un mese alle elezioni europee, il braccio di ferro sulle autonomie era tutt’altro che imprevedibile.