Ma non è vero che Viterbo e Manduria sono un effetto dei tempi nuovi
L'orrore e la ripulsa per i fatti di Viterboe di Manduria portano tante persone – sui social o sui giornali – alla stessa invariabile conclusione: sono due brutte storie figlie di questo tempo. Insomma, «quando ero giovane io non poteva succedere».
Sono riflessi di difesa generazionale magari comprensibili, ma sballati. Del resto non c'è stata epoca in cui di fronte a fenomeni estremi relativi ai giovani non si siano pronunciate le classiche frasi «ai miei tempi..» o «dove andremo a finire», o ancora «sono storie che possono succedere solo in posti simili» e «ma la colpa è di quelle famiglie che non potevano non vedere…».
Patetiche toppe, per rassicurare noi stessi di non aver nulla a che spartire con quelle storie, e di aver trasmesso ben diversi e più alti valori. È umano reagire così, ma la verità è che situazioni come quelle di Viterbo e di Manduria si possono trovare ovunque in giro per l'Italia. Che non esistono città buone o cattive.
Che situazioni simili ci sono sempre state, ma a fissarle non c'era l'ulteriore sfregio del video con lo smartphone, comune ai violentatori viterbesi e alla banda pugliese. Che il teppismo e il bullismo non sono nati oggi. Che la violenza (anche sessuale) al riparo dell'estremismo politico era altrettanto grave negli anni settanta e ottanta.
Che a quel tempo si poteva morire uccisi da un colpo di chiave inglese se si era compagni o camerati nel posto sbagliato. Che lo stupro non era ancora un reato contro la persona, e quasi mai veniva denunciato. E che non si era al riparo da altri flagelli: l'eroina, nell'ultimo quarto del Novecento, ha ucciso in Italia mille giovani ogni anno.
«Avevo vent'anni. Non permetterò a nessuno di dire che è la più bella età della vita» era l'incipit del romanzo Aden Arabia, dello scrittore francese Paul Nizan, scritto negli anni 30. Diventò una citazione d'obbligo negli anni della contestazione, quegli stessi in cui un giovane cantautore genovese ricordava che «la gente dà buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio». E anche in questo Fabrizio de André aveva tutte le ragioni del mondo.