«Vietato l’ingresso a ebrei e omosessuali» al museo di Livorno. È un’opera d’arte, uno studente la imbratta
Il 30 aprile, a Livorno un giovane studente ha imbrattato di vernice nera un pannello che recitava «Vietato l’ingresso agli ebrei e agli omosessuali», posto di fronte a un museo. Gesto nobile, se non fosse che il pannello era un’opera dell’artista Ruth Beraha, esposto all’esterno del Polo culturale in occasione dell’inaugurazione in occasione del primo anniversario del museo della città.
L’artista, che lavora su tematiche di violenza «esteriore e interiore, espressa, subita, pensata, provata e soffocata nel quotidiano» aveva concepito quest’opera come una provocazione. L’ispirazione, spiega a Open Ruth Beraha, era venuta dalla lettura di un libro di Paul Beatty, Lo schiavista, in cui il protagonista capisce che inscenare il ritorno della segregazione razziale è il metodo più efficace per stimolare la dignità degli abitanti di un quartiere dove le minoranze etniche vivono in condizioni di degrado.
Oggi, spiega Beraha, «la contemporaneità ha la necessità impellente di artisti che si esprimano a livello politico, climatico, in modo diretto e letterale». L’artista riconosce che scrivere «Vietato l’ingresso a immigrati e musulmani» avrebbe potuto essere più pertinente oggi, ma la sua evocazione anacronistica, per quanto sempre attuale, ha l’obiettivo di estendere il messaggio della sua opera qualsiasi forma di discriminazione. Un intento provocatorio chiaro il suo, tanto più che l’opera è intitolata Io non posso entrare (autoritratto) perché l’artista stessa rientra nelle categorie messe al bando. Lo studente livornese l’ha capito, ma ha deciso di non accettarlo.
Dopo aver imbrattato l’opera con della vernice nera davanti agli occhi dell’artista e di Paola Tognon, direttrice scientifica dei musei civici e curatrice della mostra, il ventiduenne ha spiegato i motivi del suo gesto. «Aveva un’oratoria fantastica», racconta Beraha. «Era arrabbiato. Ci ha spiegato che, nonostante avesse capito che si trattava di un’opera d’arte, non poteva accettare quello che c’era scritto».
Il ragazzo ha poi regalato all’artista la sua copia di Sentieri di nidi di ragno di Italo Calvino, evidenziando un passaggio in cui partigiani e fascisti si affrontano, e il protagonista Pin riflette sul fatto che – nonostante le idee per cui lottano siano opposte – alla fine si tratta sempre di spari. «Le parti tutt’a un tratto si invertivano, da repubblichini diventavano partigiani e viceversa; da una parte o dall’altra sparavano o si facevano sparare», scrive Calvino. «Mi ha detto lo studente che non regala mai i suoi libri, eppure mi ha dato la sua copia, sottolineata e dedicata», commenta Beraha.
Da un lato, l’artista considera l’atto vandalico un gesto nobile, dall’altro lo giudica però troppo istintivo perché si ferma al primo significato dell’opera, quello provocatorio. Nonostante questo, spiega, è sempre stato per lei fuori discussione eliminare la vernice. «Un lavoro d’arte nel momento in cui viene esposto smette di essere dell’artista: è del mondo e della storia – spiega -, di come viene percepita. La vernice nera ora fa parte di quel lavoro e della sua storia, non avrebbe senso toglierla».