Lettera da CasaPound a Open su Viterbo, la destra e la violenza
Non conosco la madre di Francesco Chiricozzi, di cui in queste ore sta girando una lettera molto dura contro CasaPound (ritrovo di “falliti e violenti” che avrebbe “rubato” il suo ragazzo, imbottendolo di “scemenze” come “le loro Acca Larenzia e le loro foibe”) scritta quando il figlio incappò in un altro guaio giudiziario. Non ho titoli né informazioni per intervenire nella vita di una famiglia che in questo momento sta passando ore drammatiche. Il dolore di un genitore, del resto, non va mai giudicato, solo ascoltato. Il padre di Francesco Ciavatta, uno dei ragazzi morti nella “loro Acca Larenzia”, per dire, si suicidò bevendo una bottiglia di acido muriatico. Ma questa è roba “loro”, cioè nostra, e quindi qui non c’entra.
Non conosco sua madre, ma conosco lui, Francesco Chiricozzi. Di nome, sicuramente. Di vista, pure. Ci ho mai parlato? Non me lo ricordo. Un legame così vago che potrei anche cavarmela affermando di non conoscerlo. E invece io lo conosco, perché conosco tanti come lui, perché nel suo esuberante profilo Instagram postava anche foto di un mio libro. Lo conosco perché non ci si avvicina a una storia così sordida senza avere il coraggio di caricarsi sulle spalle una croce. Non mi vanto di questa conoscenza e non me ne pento. È semplicemente così.
Non lo difendo e non lo condanno, per l’ovvia ragione che non ho idea di cosa sia successo quella maledetta sera (mi pare tuttavia che da qualche parte, nella Costituzione, si dica qualcosa a proposito dell’innocenza presunta fino a condanna definitiva, ma forse è in quel lungo preambolo di 139 articoli alle disposizioni finali e transitorie che non legge mai nessuno). Sento un senso istintivo di repulsione per tutta questa storiaccia, che dà la nausea anche nella versione della difesa e che fa sanguinare l’anima nella versione dell’accusa. Non riesco a immaginare qualcosa di più lontano dalla mia etica delle ricostruzioni dello stupro lette sui giornali. Questa lontananza dall’accusa e questa vicinanza all’imputato sono i due assi della croce che è necessario portare sulle spalle.
Potrei rispondere elencando tutte le iniziative culturali, solidali, ambientaliste, sportive messe in campo da CasaPound nel corso degli anni, ma è stato già fatto mille volte. Se finora non ha scalfito le spiegazioni sociologiche take away (il movimento che “alimenta le paure generate dalla crisi” per creare una “guerra tra poveri” mettendo nel mirino “il diverso” e via banalizzando), non funzionerà certo ora. Potrei parlare dell’unico movimento politico italiano che chiede ai suoi militanti di dare tutto e di non prendere nulla, dei mille casi di abnegazione, sacrificio e dedizione a cui ho assistito in questi anni e che restano del tutto incomprensibili a un sistema mediatico eternamente alla ricerca di un “segreto” di Cpi (i soldi di Putin? I soldi del Front national? Gli appoggi della malavita?) che semplicemente non esiste. Ma credo che anche questo non servirebbe.
Certo, ora che il libro-intervista a Salvini ha rivelato al mondo che in CasaPound si scrivono, si pubblicano e si leggono libri, che si tengono conferenze, che ci sono case editrici, siti, riviste che producono pensiero, forse qualcuno poteva evitare di riproporci l’ennesima esegesi del maschilismo patriarcale e andare a vedere se, in questo magma di riferimenti, qualcosa sul ruolo della donna e sul suo rapporto con l’uomo sia mai stato scritto, in questo ambiente. Spoiler: è stato fatto, e di queste ossessioni misogine non c’è traccia. Potrebbe essere un’interessante ricerca da fare per i giovani redattori della redazione di Open. Sempre se le interviste all’autorevole Osservatorio sulle nuove destre lasciano del tempo, ovviamente.