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Cene, disco e club privé. La mappa “Milano da bere” nell’inchiesta per corruzione

08 Maggio 2019 - 06:25 Valerio Mammone
L'inchiesta per corruzione che ha travolto esponenti di spicco di Forza Italia in Lombardia e imprenditori in odore di 'Ndrangheta nasce intorno a tre tavolini: un ristorante, un bar e una discoteca

Cena, disco e club privé. «Faccio una figura della Madonna, stasera c’ho mezza Forza Italia di Varese lì, figa».Sembra uscito da un Vacanze di Nataledegli anni Ottanta Daniele D’Alfonso, figura centrale dell’inchiesta per corruzione che ha creato scompiglio nei palazzi del potere della Lombardia, abbattendosi – a 20 giorni dalle europee – su esponenti di spicco di Forza Italia, amministratori pubblici e imprenditori (43 arresti, 96 indagati in tutto).

Classe ’85, «imprenditore rampante» del settore rifiuti e bonifiche ambientali, D’Alfonso – secondo i magistrati – corrompe, finanzia, distribuisce consulenze e regala vacanze e serate degne della Milano da bere. In testa ha un solo obiettivo: garantirsi una corsia preferenziale per accaparrarsi appalti pubblici e lavori privati.

Dietro di lui, dicono sempre gli inquirenti, c’è la cosca Molluso, ‘ndrangheta, base logistica a Buccinasco. Secondo i magistrati D’Alfonso è in contatto Giuseppe Molluso, figlio di Giosofatto, «uno dei più pericolosi uomini di ‘ndrangheta che hanno operato in Lombardia». Con le commesse vinte, sostiene economicamente la cosca e assume gli uomini indicati dai boss. Èper questi legami che D’Alfonso è uno dei 9 indagati a cui è stata contestata l’aggravante mafiosa.

Il 18 gennaio 2018 l’imprenditore è su di giri. La serata promette bene, cena e discoteca. Con lui ci sono tre pezzi da 90 di Forza Italia in Lombardia: Pietro Tatarella, Fabio Altitonante e Gioacchino Caiainiello. Il primo consigliere comunale, vicecoordinatore regionale del partito e candidato alle europee, il secondo sottosegretario in Regione, il terzo è una figura centrale di Forza Italia a Varese e in Lombardia.

D’Alfonso si prepara a mettere mano al portafoglio: «Se va bene stasera Emi… – dice al proprietario della discoteca – tu sei il mio Maradona cazzo. Lo so che spenderò tanto, questi bevono come sanguisughe, figa». «Cena di rappresentanza?», gli chiede “Emi”. E lui: «Aziendale veramente, non sto scherzando eh».

Siamo a gennaio del 2018, le elezioni politiche e regionali sono alle porte. «Qui D’Alfonso accelera», raccontano gli inquirenti, sono i mesi della semina, il preludio di un buon raccolto. Il politico a cui è più legato è Pietro Tatarella. D’Alfonso – dicono i magistrati – lo tiene a libro paga: 5 mila euro al mese, più una serie di altre utilità, biglietti aerei, viaggi di piacere, macchine, carte di credito per prelevare contanti.

In cambio – secondo i magistrati – il consigliere di Forza Italia mette a disposizione la propria rete di conoscenze, permettendo così a D’Alfonso di aggiudicarsi diverse commesse tra cui un appalto bandito da Amsa, l’azienda dei rifiuti di Milano, nonostante la sua società non sia in possesso di tutti i requisiti richiesti.

«Gli affari migliori si fanno a tavola»diceva Oscar Wilde. Ed è intorno ai tavolini di bar e ristoranti che le figure principali dell’inchiesta si ritrovano per «pianificare e dirigere l’attività criminosa». Se a Milano il luogo di ritrovo è un ristorante nel quartiere “Isola”, ribattezzato dagli indagati «la mensa dei poveri», a Varese – altro fulcro dell’inchiesta – lo scenario è ancora più modesto: un bar di Gallarate, ribattezzato «l’ambulatorio».

Èqui che Nino Caianiello, personaggio molto influente di Forza Italia a Varese e in Lombardia, con alle spalle una condanna definitiva per concussione, aveva stabilito il suo quartier generale: «Riceveva decine e decine di “pazienti” ogni giorno – ha detto in conferenza stampa Luigi Furno – che si rivolgevano a lui per ogni ragione: dalle raccomandazioni più spicciole fino a organizzare delle finte consulenze in favore di professionisti che poi restituivano quota parte dell’importo a Caianiello e agli amministratori delle società pubbliche».

Nell’ordinanza il gip descrive questo giro di favori e denaro come un sistema pseudofeudale in cui c’è un dominus – Caianiello – che distribuisce incarichi e consulenze ai suoi vassalli; questi ultimi, in segno di fedeltà, gli corrispondono una «decima», «premurandosi di consegnargliela direttamente nel luogo da cui esercita il suo potere direttivo». Il bar di Gallarate.

A suggerire l’immagine del feudoal giudice è una scena catturata probabilmente dal sistema di videosorveglianza installato dagli inquirenti nel bar-ambulatorio. Nel video, una donna consegna a Caianiello una busta contenente «la decima»di 500 euro: un omaggio per un incarico ottenuto dalla sorella. La signora – scrive il gip – «è tutt’altro che sciocca, in quanto si presenta a onorare il debito e a ossequiare il “signore” a cui ribadisce la sua completa sudditanza, proprio in occasione della scadenza del mandato della sorella beneficiata».

«Nino Caianiello – scrive il gip nell’ordinanza – è il grande burattinaio nell’attività di insediamento di uomini chiave in enti pubblici che gestiscono rilevantissimi flussi di denaro, che egli indirizza verso destinatari a lui prossimi ottenendone diretti benefici in termini economici, prelevando una quota percentuale e incrementando il proprio potere».

Secondo il giudice la condanna definitiva per concussione subita da Caianiello non ha sortito alcun effetto, nonostante sia perfettamente consapevole che avere altri problemi giudiziari potrebbe essergli fatale. In una conversazione captata dagli inquirenti, il manovratore di Forza Italia confessa di avere paura di essere arrestato e di volersi trasferire in Islanda: «Se mi prendono – dice – devono buttare via le chiavi, capito?».

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