A Chernobyl tornano gli animali, il disastro nucleare non ferma la biodiversità
Dieci specie di mammiferi e cinque di uccelli. È questa la biodiversità che gli studiosi hanno trovato nei 2.600 chilometri quadrati che circondano la centrale nucleare di Chernobyl. Come aveva capito Charles Darwin, la storia della vita è la storia dell’adattamento all’ambiente.
Dopo l’incidente del reattore numero 4 il 26 aprile 1986, a Chernobyl venne istituita una “zona di esclusione” (o alienazione). L’esplosione causò il rilascio di una quantità di radiazioni 400 volte superiori a quelle liberate dall’atomica a Hiroshima. L’area più vicina alla centrale, con un raggio di circa 30 chilometri, sarebbe dovuta rimanere disabitata per secoli.
E invece, attorno al fiume di Pripyat – distante circa 3 chilometri dalla centrale – ci sono aquile di mare coda bianca, visoni americani e lontre di fiume. E poi lupi grigi, uccelli ghiandaia, gazze europee, corvi imperiali, topi, donnole, martori eurastatici, cani procione. Un totale di 232 individui animali osservati fin’ora, appartenenti a 15 diverse specie.
La ricca fauna selvatica si è adattata all’ecosistema contaminato tra l’Ucraina e la Bielorussia. Secondo alcuni studi, le specie presenti hanno subito mutamenti genetici (come la pelle più scura per le rane che vivono nella zona di esclusione, o livelli più alti di albinismo per alcune specie di uccelli), ma gli effetti delle radiazioni non sembrerebbero aver causato danni irreparabili alla sopravvivenza della popolazione selvatica.