Le famiglie arcobaleno intrappolate dalla burocrazia: «La sorte dei nostri bambini appesa ai tribunali» – Le storie
Dall’approvazione della legge Cirinnà – che ha esteso alle coppie omosessuali gli stessi diritti dei matrimoni civili – in Italia sono state celebrate più di 7.000 unioni tra persone delle stesso sesso. Da quella legge fu esclusa la stepchild adoption, ovvero la possibilità che un genitore non biologico possa adottare il figlio naturale o adottivo del partner. Ed è per questo che ancora oggi la genitorialità di queste coppie è insabbiata in un vuoto normativo.
Da un lato c’è chi sta ancora lottando in tribunale o chi questa battaglia l’ha persa. Dall’altro c’è chi è riuscito a farsi riconoscere da un giudice come genitore legale. Anche in questo caso però, la burocrazia pone vari ostacoli all’acquisizione tempestiva ed effettiva di tutti i diritti e le tutele di cui un genitore può godere, soprattutto sul posto di lavoro. A questo malfunzionamento rispondono spesso le aziende, che suppliscono al ritardo dello Stato nel prendere coscienza delle diverse realtà che esistono nel nostro Paese.
Riconosciuta ma non tutelata
Micaela Ghisleni vive a Torino e lavora in un’agenzia dove fa la progettista della formazione. È la genitrice sociale di due bambini, avuti con la sua compagna a distanza di 9 anni l’uno dall’altra. «Quando abbiamo avuto la nostra prima figlia», dice a Open, «i figli delle coppie omogenitoriali non erano ancora considerati con gli stessi diritti dei bambini nati da coppie eterosessuali. Ora le cose stanno cambiando, almeno dal punto di vista della percezione comune, ma ci sono ancora tantissimi ostacoli da superare».
Come abbiamo ricordato, la Legge Cirinnà fu approvata con un compromesso parlamentare che prevedeva che le questioni sulla genitorialità fossero lasciate da parte. Ad oggi, in Italia non ci sono norme a tutela dei genitori sociali all’interno di coppie omogenitoriali. «Come famiglia arcobaleno noi abbiamo avuto due problemi», spiega Micaela. «Uno dal punto di vista della differenza di trattamento rispetto alle coppie eterosessuali, risolto poi con la 76/2016. Un altro dal punto di vista dei rapporti con i figli, che permane tutt’oggi».
Micaela, Chiara e il piccolo Niccolò
Da quanto spiega Micaela, nonostante le carenze legislative e le incertezze sulle sentenze sulle adozioni dei tribunali, le grandi aziende garantiscono ormai delle tutele in maniera spontanea. Ma nonostante i congedi e gli sgravi messi a disposizione dai datori di lavoro, l’esercizio del proprio diritto genitoriale è ostacolato da una burocrazia che resta ingessata. «La giurisprudenza mi ha riconosciuta come genitrice ma la burocrazia mi impedisce ancora di praticare quello per cui avrei diritto».
«Se il figlio della mia collega eterosessuale si ammala – dice Micaela – lei va sul sito dell’Inps e scarica i moduli necessari alla richiesta di congedo in maniera regolare. Per me non è così: per qualche motivo il portale non mi fa accedere alla richiesta. Quindi devo rivolgermi a qualche CAF che, gentilmente, mi crea manualmente la documentazione». Infatti, come spiega Ferdinando Poscio, avvocato milanese, «L’Inps ha un sistema informatico che nel momento in cui si inserisce il codice fiscale di due genitori dello stesso sesso blocca qualsiasi operazione».
Tutelato prima di essere riconosciuto
Fernando ha avuto la fortuna di lavorare in uno studio che ha colmato spontaneamente le lacune dello Stato. Clifford Chance, lo studio legale di cui è socio, gli ha concesso tre mesi di congedo parentale per la nascita del primo figlio avuto con il suo compagno, nonostante lui non fosse all’epoca genitore legale.
«La policy dello studio è quella di garantire medesimi diritti e tutele alle coppie omosessuali e a quelle eterosessuali», spiega Ferdinando, padre di due bambini e anche responsabile legale dell’associazione Famiglie Arcobaleno. Tra le tutele, l’avvocato evoca l’assicurazione sanitaria estesa ai suoi figli anche prima che questi venissero riconosciuti legalmente come tali, o la flessibilità lavorativa di cui un neo-genitore necessita.
L’assenza di vincoli legali che garantiscono universalmente questo tipo di garanzie comporta però che l’impiego dei due partner possa diventare un fattore discriminante anche nello scegliere chi sarà il genitore biologico del figlio. La decisione, in una coppia di donne, di chi partorirà il bambino, o quella, in una coppia di uomini, di chi donerà il seme, è anche influenzata da considerazioni lavorative.
L’assenza di tutele lavorative per il genitore sociale può diventare un motivo determinante per decidere di diventare o meno genitore biologico. «Il vero problema di questo Paese è l’assenza di un contesto legale che impedisca che le sorti dei nostri bambini dipendano dalla buona volontà delle aziende o dalle scelte non uniformi dei tribunali», è la conclusione di Ferdinando.