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SCIENZE E INNOVAZIONERicerca scientificaUnione europea

L’italiana Michela Puddu è una delle quattro innovatrici d’Europa

19 Maggio 2019 - 21:40 Juanne Pili
Sembrano il soggetto di un film cyberpunk le «etichette antifrode di Dna», invece Michela Puddu è andata oltre la fantascienza rendendole una realtà. Per questo l’Unione europea, mediante il programma «Horizon 2020», l’ha premiata assieme ad altre tre «Donne Innovatrici»

La ricerca scientifica e tecnologica vive di due elementi necessari: finanziamenti mirati e menti straordinarie. L’Unione europea contribuisce al primo con progetti come Horizon 2020, che ha permesso la realizzazione di numerose innovazioni. Il progetto riguarda diversi ambiti, dai dispositivi biomedicali indossabili alle energie rinnovabili. Lo scopo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica al fine di coinvolgere maggiormente le donne nel campo dell’innovazione. 

Oggi solo il 31% degli imprenditori europei è di sesso femminile, esiste quindi un potenziale ancora inutilizzato, anche per via del fatto che per lungo tempo gli ambiti accademici e dell’imprenditoria sono stati di fatto appannaggio degli uomini. Spesso le donne che sono riuscite a distinguersi non hanno avuto l’attenzione mediatica e i riconoscimenti dovuti

Quattro donne innovatrici d’Europa

Al secondo elemento ci pensano persone come Michela Puddu, una delle quattro donne che hanno ottenuto dall’Unione europea i fondi necessari per realizzare la sua ricerca sulle etichette antifrode fatte di Dna. Assieme a lei Irina Borodina (lituana) coi suoi ferormoni utilizzabili al posto dei pesticidi, Martine Caroff (francese) con la sua azienda di componenti per vaccini, immunoterapia e oncologia, e Shimrit Perkol-Finkel (israeliana) con la sua impresa di infrastrutture ecologiche costiere.

Chi è Michela Puddu

Comincia all’Università di Tor Vergata a Roma il viaggio di Michela, che la porterà dopo una laurea in Scienze dei materiali a un master presso il Politecnico di Zurigo, dove conseguirà il dottorato. 

Poi arriva l’idea, concepita assieme ad altri colleghi, di realizzare delle etichette anti-frode basate sul Dna, applicabili ai settori più vari, dal tessile all’agroalimentare. «Oggi la maggior parte dei sistemi di tracciabilità è fisicamente distaccata dal prodotto, che siano certificati o codici e barre, fino alla blockchain, e questo può indurre frodi».

Una giuria di esperti indipendenti l’ha scelta assieme ad altre tre colleghe fondatrici di aziende che hanno dato un contributo importante nell’ambito della ricerca scientifica. In tutto sono state presentate 154 domande da tutta l’Unione europea, arrivando nell’aprile scorso a 13 finaliste.

Cosa sono le etichette antifrode

Cofondatrice della Haelixa, azienda «spin-off» del Politecnico di Zurigo, Michela ha ottenuto un finanziamento di 50 mila euro per il suo progetto. Ma in cosa consiste esattamente? Oggi siamo in grado di utilizzare le quattro lettere dell’alfabeto del Dna per realizzare sequenze individuabili con appositi strumenti a basso costo.

Le sequenze non sono codificanti ma rappresentano una sorta di marchio invisibile che potrà attestare la genuinità dei prodotti. Le sequenze genetiche appositamente incapsulate vengono poi spruzzate sui materiali che occorre etichettare.

L’operazione può essere svolta in tutte le varie fasi di produzione, dalla lavorazione delle materie prime alla realizzazione del prodotto finito, dando tracce fondamentali per ricostruire la filiera che ha portato un certo bene fino al negozio, proteggendoci dalle frodi, soprattutto quelle che toccano maggiormente il made in italy: quelle tessili e alimentari.

 

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