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Monterotondo, nei verbali della madre di Deborah la storia di anni di violenze

24 Maggio 2019 - 10:11 Valerio Berra
«Ci ha sempre considerato come sua proprietà. E bastava niente perché alzasse le mani. Ma Lorenzo non era cattivo». Tra dichiarazioni e indagini comincia ad affiorare la storia di Lorenzo Sciacquatori

In chiesa non erano presenti. Né Deborah, né Antonia. A consigliarlo è stato il loro avvocato, Sara Proietti: «Le ho convinte io a non andare per proteggersi da questa attenzione». Il 23 maggio a Monterotondo c’era il funerale di Lorenzo Sciacquatori, 41enne che domenica 10 maggio è stato ucciso dalla figlia Deborah dopo che avrebbe cercato di aggredire lei e la madre Antonia. Ora Deborah è stata rilasciata, il pm ha riconosciuto che avrebbe «agito per difendersi».

La storia dei membri di quella famiglia e di come hanno vissuto ora comincia a prendere forma. A raccontarla è il verbale rilasciato alla procura di Tivoli dalla madre Antonia Carassi. Una donna che lavora fino a dieci ore al giorno. Sette euro all’ora per fare le pulizie nelle case degli altri. Anche la figlia, 19 anni, lavora, oltre che studiare. Fa la barista per qualche pomeriggio a settimana.

Le testimonianze della madre di Deborah alla procura

Le parole di Antonia Carassi descrivono Lorenzo Sciacquatori come un uomo violento, un padrone: «Ci ha sempre considerato come sua proprietà e quando viene qualcuno a trovarci, suoi amici o parenti, lo faceva notare. “Prendimi le sigarette, vai a cucinare, stai zitta”, mi diceva. E bastava niente perché alzasse le mani. Ma Lorenzo non era cattivo».

I maltrattamenti sarebbero inziati anni fa, almeno 20. «Sì, aveva un animo buono, ma era vittima di alcol e droga. Io volevo salvarlo, pensavo di potercela fare. I primi pugni nella schiena, mentre allattavo, ancora me li ricordo».

La prima denuncia, poi il carcere e la riabilitazione

A settembre del 2014 Antonia decide di denunciare tutto ai carabinieri. L’uomo viene arrestato, anche a causa di alcuni precedenti per rissa, rapina e resistenza. Finisce in carcere, dove resta fino a marzo 2015. Un’esperienza con non avrebbe cambiato molto la situazione: «Pretendeva di avere rapporti, io accettavo per paura delle sue reazioni. Dicevo, meglio a me che a Deborah».

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