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Tac con radiazioni dimezzate grazie a un nuovo algoritmo? I radiologi fanno chiarezza

25 Maggio 2019 - 07:17 Juanne Pili
L'annuncio della premiazione di due ingegnere italiane che avrebbero innovato il modo di effettuare le Tac, suscita lo scetticismo dell'Associazione di radiologia medica

Diverse testate hanno dato la notizia della premiazione di due giovani ingegnere italiane, Michela D’Antò e Federica Caracò, rispettivamente della Fondazione G. Pascale e dell’Università Federico II. Sono state riconosciute vincitrici del concorso Health technology challenge (Htc), nell’ambito del XIX Congresso dell’Associazione nazionale degli ingegneri clinici (Aiic).

Il loro merito, secondo alcuni organi d’informazione, sarebbe quello di aver realizzato un nuovo «algoritmo iterativo» in grado di «ridurre significativamente l’esposizione alle radiazioni, soprattutto per quei pazienti come i malati oncologici che sono costretti a ripetute analisi». L’innovazione delle ingegnere in pratica riguarderebbe la possibilità di realizzare Tac con radiazioni dimezzate.

In cosa consisterebbe l’innovazione del nuovo algoritmo?

La Tac (Tomografia assiale computerizzata) è una tecnologia radiodiagnostica che permette di realizzare immagini anatomiche tridimensionali, o in sezione, elaborate al computer. Per funzionare sfrutta delle radiazioni ionizzanti (diverse da quelle non ionizzanti delle onde elettromagnetiche usate nei cellulari, che non possono in nessun modo danneggiare il nostro Dna, con buona pace di chi pensa il contrario), quindi la novità che giustificherebbe la premiazione delle due ingegnere si può riassumere nel seguente passaggio, riportato senza significative modifiche negli articoli che hanno riportato la notizia:

Si stima che in Italia su oltre 40 milioni di esami radiologici effettuati ogni anno, circa il 44% sia prescritto in modo inappropriato e non sia strettamente necessario. I malati oncologici sono i più esposti a queste radiazioni durante la fase della diagnosi e nei continui controlli successivi, nel corso delle cure e dopo.

La prima fonte di queste affermazioni sembra essere l’Ospedale Mauriziano di Torino che in un comunicato stampa dell’aprile 2017 annunciava di voler informare i pazienti sulla quantità di radiazioni a cui sarebbero stati sottoposti attraverso le Tac. I dati vennero riportati citando la Sirm.

Già nel 2015 l’allora ministro della Sanità Beatrice Lorenzin avrebbe lamentato gli sprechi avvenuti in Italia nel prescrivere «esami inutili». Si faceva particolare riferimento a Tac e esami del sangue. Il problema però, come faceva notare nel 2017 l’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), stava nel fatto che circa il 50% dei macchinari risultassero obsoleti rispetto a quelli di nuova generazione.

I pazienti oncologici italiani possono essere sottoposti a esami inutili?

Per capire come stanno esattamente le cose abbiamo contattato il Segretario dei radiologi Snr (Sindacato nazionale radiologia) Corrado Bibbolino, che ha riferito a Open: «Nel modo in cui hanno posto la notizia c’è stato da parte del loro addetto stampa un pizzico di enfasi, le due ingegnere hanno semplicemente testato l’efficienza del protocollo di verifica, con un algoritmo iterativo in uso ormai da 10 anni. Così mi è stato spiegato anche dal presidente Aiic Lorenzo Leogrande».

Torniamo ai dati preoccupanti correlati alla notizia. Possiamo leggere ad esempio che una Tac equivale a 150 radiografie, oppure che in Italia 44 esami su 100 sarebbero prescritti inutilmente, come si diceva,sottoponendo i pazienti a pericolose radiazioni. «I dati a cui si fa riferimento provengono per altro da un mio lavoro – afferma Bibbolino – anche se non parliamo di 40 milioni di esami. Oggi ne contiamo circa 120 milioni. Inoltre una Tac non equivale a centinaia di lastre. Può avere un livello di esposizione anche centro volte superiore, ma nel caso di esami come quello al torace».

La smentita dei radiologi

Il presidente della Società italiana di radiologia medica (Sirm) Roberto Grassi ha firmato un comunicato dove replica: «trattasi di fake news». Un passaggio del comunicato del Sirm ci fa capire come sia stata data un po’ troppa enfasi alla presunta innovazione delle due ingegnere:

La riduzione della dose nelle indagini radiologiche è un obiettivo perseguito da tempo, sopratutto per la TAC che, fra tutte le indagini di diagnostica per immagini, è divenuta negli ultimi lustri il maggior erogatore di dose di radiazioni in ambito medico, poiché tecnica sempre più frequentemente utilizzata per il corretto planning del trattamento medico-chirurgico di numerosissime patologie.

Quindi più Tac non significa necessariamente meno sicurezza da parte dei pazienti, già prima della premiazione delle due ingegnere. «Nel 2007 è stato pubblicato in America il rapporto della Società di valutazione delle esposizioni alle radiazioni ionizzanti (Beir VII) – prosegue Bibbolino – mettendo nero su bianco la possibilità che queste radiazioni provocassero delle malattie. La verità è che nessuno ha una valutazione reale di questo. Viene tutto estrapolato basandosi sull’esposizione a radiazioni ionizzanti della popolazione di Hiroshima. Non c’è una osservazione su due popolazioni in doppio cieco; con e senza Tac».

«Nel mentre sono arrivati gli algoritmi che permettevano una riduzione della dose di esposizione, ed è aumentato quindi il numero delle Tac. In questo momento ne facciamo un numero quattro volte maggiore rispetto agli inizi degli anni 2000. Oggi comunque mancano dati precisi, disponiamo di quelli del Ministero relativi alla Sanità pubblica, ma non del settore privato, questa parte sfugge completamente».

Esistono già da 10 anni protocolli che riducono l’esposizione a radiazioni

Il genere di algoritmo premiato è noto già da dieci anni, ed è in uso attualmente in gran parte delle apparecchiature Tac. Qualcuno ha parlato anche di «Intelligenza artificiale» impiegata nelle diagnosi. Ma come ricorda il professor Sergio Salerno, presidente della Sezione di studio in radioprotezione e radiobiologia della Sirm, «la riduzione della dose si avvale non solo di algoritmi, quali quelli iterativi, ma è una procedura più complessa che coinvolge la formazione dei professionisti».

Effettivamente è possibile trovare in rete diversi riferimenti a «Tac low-dose» e «algoritmi iterativi» nei siti delle aziende specializzate. Anche l’Associazione italiana di fisica medica (Aifm) faceva riferimento nel maggio 2017 a una «evoluzione tecnologica continua, sia nell’hardware sia nel software». Sugli algoritmi iterativi l’Associazione aggiunge che «se ben progettati, riescono a ottenere una qualità dell’immagine più elevata degli algoritmi “abbreviati” precedenti. È quindi possibile ottenere più informazioni dalla stessa quantità di raggi X, oppure ottenere le stesse informazioni, sufficienti alla diagnosi, con una minore quantità di raggi X».

Gli algoritmi non bastano

«In Italia abbiamo un discreto numero di attrezzature – conferma Bibbolino – siamo ai primi posti delle graduatorie europee. Per quanto riguarda le Tac siamo al decimo posto. Buona parte di queste attrezzature ha più di cinque anni». 

Un computer di cinque anni ha un livello di performance di livello molto basso. Negli anni tra il 2005 e il 2015 abbiamo avuto una serie di processori che sono divenuti sempre più veloci, questo ha permesso un’acquisizione molto maggiore di informazioni. Per alcune operazioni questo genere di macchine possono andare ancora bene, ma altre non consentono tutta una serie di operazioni.

«Nei paesi europei è raccomandata la sostituzione e integrazione delle macchine tra i cinque e sette anni – prosegue Bibbolino – in Italia la Consip (Concessionaria servizi informativi pubblici) prevede un tempo di ammortamento di sette anni. Le nostre medie di anzianità delle macchine sono quindi sicuramente più elevate».

C’è una disciplina che si chiama “Technology assessment”: si occupa di mettere in relazione le necessità col tipo di macchina utilizzata. Questo non sempre viene fatto. Ad ogni modo, come in Formula 1, non conta solo la macchina ma anche chi la guida: occorrono anche medici e radiologi preparati. 

«Nel corso degli anni – conferma Bibbolino – la comunità radiologica ha sviluppato come poche altre un sistema di aggiornamento e di istruzione che dovrebbe garantire in maniera piuttosto avanzata una efficienza professionale costante. La Sirm ha un’offerta formativa con punteggi superiori a quelli richiesti dal Ministero per gli aggiornamenti. Grazie anche alla telemedicina possiamo garantire un impiego sempre più corretto dei mezzi: attraverso il tele-consulto noi possiamo far esaminare i referti ai medici più competenti nel mondo».

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