San Marino vieta le discriminazioni per orientamento sessuale
Continua il percorso di apertura della Repubblica di San Marino nei confronti dei diritti Lgbt. Dopo l’approvazione di una legge sulle unioni civili nel 2018, i sanmarinesi hanno votato ieri 2 giugno per l’introduzione di un divieto di discriminazione sessuale direttamente nella propria Costituzione. Lo stesso referendum prevedeva anche una decisione sul cambio della legge elettorale per velocizzare gli accordi di maggioranza ed evitare il ricorso al ballottaggio. Con il 71,46% dei consensi, i residenti hanno espresso la volontà di ufficializzare anche nella Carta costituzionale i progressi nel campo della parità dei diritti.
Un cammino iniziato nel 2004, quando la Repubblica aveva abrogato il reato di omosessualità, stabilito nel codice penale dall’articolo 274, in base al quale i rapporti omosessuali potevano essere puniti con la reclusione dai 3 ai 12 mesi. Il referendum si è reso necessario dopo che l’approvazione della legge in Parlamento si era complicata a causa del non raggiungimento del quorum per 4 voti (erano presenti 35 parlamentari su 39 necessari, a fronte di 60 deputati in totale).
L’Arcigay: «Passo epocale di civiltà»
San Marino diventa così l’undicesimo Stato al mondo a prevedere il principio antidiscriminatorio nella Costituzione, insieme a Gran Bretagna, Svezia, Portogallo, Malta, Bolivia, Ecuador, Isole Fiji, Nuova Zelanda, Messico e Sudafrica. «Questo risultato, unito alle altre esperienze referendarie nel mondo sui diritti Lgbt, con il suo eccezionale successo popolar, dovrebbe essere un segnale e un monito anche fuori dai confini sammarinesi e soprattutto per l’Italia», ha commentato su Facebook Marco Tonti, presidente dell’Arcigay di Rimini, comitato di riferimento territoriale per San Marino.
«Ci complimentiamo con la Repubblica per questo passo epocale di civiltà, soprattutto pensando che a San Marino l’omosessualità è stata criminalizzata fino al 2004», ha continuato Tonti.
«La battaglia è ancora lunga»
Secondo Paolo Rondelli, attuale vicepresidente dell’Arcigay di Rimini e ideatore, insieme ad altri, della proposta di legge sulle unioni civili, le battaglie non sono finite. «Sembra una conquista da nulla», ha detto a Open. «Molti ora dicono che non ce n’era bisogno, che siamo nel 2019, che siamo in Romagna. Ma, in realtà, quel 28% di “no” a me preoccupa. C’è una parte della popolazione che ritiene non necessario ribadire la necessità antidiscriminatoria». L’unico partito della Repubblica a non aver preso posizione sul referendum è stato Democrazia cristiana – ancora presente tra i sanmarinesi.
Secondo Rondelli, lo zoccolo duro della popolazione conservatrice di San Marino rende difficile anche il raggiungimento di altri traguardi civili, tra i quali la possibilità per le donne di mettere fine a una gravidanza. Se i gay cominciano a essere integrati grazie a questi provvedimenti, una donna che abortisce a San Marino ancora non è tutelata. «Noi abbiamo ancora il reato d’aborto, che prevede l’arresto immediato della gestante», ha spiegato Rondelli. «Ci sono difficoltà anche per la somministrazione della pillola del giorno dopo, data la quantità di medici obiettori presenti sul territorio».
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