La protesta delle donne giapponesi contro l’obbligo dei tacchi alti al lavoro
Una petizione contro le scarpe col tacco sul luogo di lavoro. L’ha presentata al governo giapponese un gruppo di donne organizzate, stanche di dover subire una convenzione sociale evidentemente sessista, che ha più i connotati di un vero e proprio obbligo.
Pur non essendo un obbligo formale nelle aziende del Paese, quella di dover portare scarpe col tacco è una regola non scritta e rispettata diligentemente dalle donne giapponesi sul posto di lavoro. Donne che sono scese in campo per ribellarsi all’attuale stato di cose.
KuToo, come nasce la battaglia
Portavoce della battaglia è stata l’attrice e scrittrice Yumi Ishikawa che ha ideato una vera e propria campagna, raccogliendo i consensi di migliaia di donne. Profittando di un gioco di parole efficace che unisce il lemma kutsu – che significa scarpe in giapponese – al simile kutsuu – che vuol dire dolore -, Ishikawa ha intitolato la sua petizione “KuToo”.
L’attrice ha incontrato alcuni funzionari del ministero del Lavoro per discutere della questione. «Abbiamo presentato una petizione – ha spiegato Ishikawa – che chiede l’introduzione di una legge che vieti ai datori di lavoro di costringere le donne a indossare tacchi alti come discriminazione o molestia sessuale».
Quando le donne giapponesi hanno detto «stop»
Tutto comincia alcuni mesi fa quando in Giappone diventa virale un’offerta di lavoro in un hotel per la quale è possibile candidarsi solo se si intende portare scarpe col tacco per tutto il turno di lavoro.
Le attiviste giapponesi interpretano l’obbligo di indossare le scarpe col tacco imposto dalle aziende del Paese come la versione moderna della fasciatura dei piedi che era in uso nella Cina imperiale.
Tra gli altri, anche il Gender world economic forum ha apprezzato l’iniziativa e sostenuto la campagna condividendola sui suoi canali ufficiali la campagna KuToo.
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