Ballottaggi, grillini e dem contro leghisti: perché gli occhi sono puntati su Campobasso
Davanti alle elezioni Europee, le Amministrative sono passate in secondo piano. Legittimo, certo. Anche se i comuni al voto erano 3 844, quasi la metà del totale, mancavano i grandi protagonisti. I sei capoluoghi di regione coinvolti non sono stati abbastanza per distogliere l’attenzione dalla sfida per Bruxelles che si stava combattendo tra Lega, M5s e Pd. Eppure qualcosa d’interessante c’era, e c’è anche adesso. Oggi, 9 giugno, sono previsti i ballottaggi in 136 città. Sfida secca: un candidato contro l’altro. Due opzioni un vincitore. Una tipo di sfida che può offrire anche parecchi spunti interessanti. Soprattutto quando si gioca all’interno di un sistema politico come quello italiano dove i poli non sono due, ma tre. Mentre per i seggi di Bruxelles ognuno correva da solo (o quasi), nelle amministrative vige ancora il sistema delle alleanze. E così, in molti comuni, quel centrodestra che sembrava tanto spezzato è tornato a correre insieme. Mentre la Lega si è trovata come avversaria diretta proprio quel Movimento 5 stelle che gli ha permesso di arrivare a palazzo Chigi.
Il caso Campobasso. Prove di alleanza tra Pd e M5s?
Fra tutte le città interessate dal ballottaggio, quella da guardare con più attenzione sarà Campobasso. Il caso è noto. Al ballottaggio sono arrivati i candidati dei due alleati di governo: Roberto Gravina del Movimento 5 Stelle contro Maria Domenica D’Alessandro, della coalizione di centrodestra. D’Alessandro aveva ottenuto il 39,7%, Gravina il 29,4%. Dieci punti di differenza che non è semplice colmare in uno scontro diretto. Appena dietro però c’è Antonio Battista, arrivato terzo con la coalizione di centro sinistra e il 25,9% dei voti. Ed è questo tesoretto, o una sua parte, che potrebbe portare il candidato pentastellato più vicino alla fascia da primo cittadino.
Il Quotidiano del Molise aveva riportato un documento approvato dalla direzione regionale Pd in cui invitava i propri iscritti ad andare al voto, ricordando che «La natura europeista, antifascista, progressista, antisecessionista e antirazzista del Partito Democratico non consente neppur di ipotizzare un sostegno allo schieramento politico guidato dalla Lega (Nord)». Un invito, neanche troppo velato, a orientare il voto verso il M5s. E qualche commentatore ha pensato che questo accordo avrebbe avuto come controparte l’appoggio dei pentastellati ad Angelo Sbrocca, candidato sindaco di Termoli in corsa contro il rivale di centrodestra Francesco Roberti. Fonti vicine alla Lega hanno parlato di prove di inciucio, il segretario regionale Vittorino Faccciolla ha smentito tutto e il M5s si è detto dispiaciuto per gli attacchi della Lega.
Fantapolitica: un accordo tra Movimento 5 Stelle e Pd sarebbe davvero possibile?
Ci sono due aspetti su cui ragionare per valutare l’effettiva possibilità che M5s e Pd formino un’alleanza di governo. La prima è un’analisi politica, e riguarda l’opportunità per i pentastellati di sciogliere l’accordo. Avrebbe davvero senso, nonostante i voti persi in questi mesi, staccarsi dalla Lega per buttarsi fra le braccia del Pd? La seconda valutazione è più tecnica. E riguarda proprio i numeri, al netto di cambi di gruppo e fuoriusciti. Il gruppo parlamentare del Partito Democratico conta 112 seggi alla Camera e 52 in Senato, il Movimento 5 Stelle rispettivamente 219 e 107. La maggioranza alla Camera quindi potrebbe effettivamente esserci, anche se di poco. 331 seggi, 15 in più di quei 316 che sono necessari per far vincere una votazione. Al Senato invece i numeri non ci sarebbero anche se di poco. Per ottenere una maggioranza in Senato ci vogliono 160 voti, al minimo. Pd e Cinque Stelle insieme si fermano un passo prima: 159 voti.
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