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Matteo Renzi prende le distanze da Carlo Calenda «Se decidi di fare un partito non chiedi il permesso»

10 Giugno 2019 - 07:53 Redazione
Critiche sia a destra sia a sinistra per l'ex premier e segretario del Partito democratico

Matteo Renzi, intervistato dal giornalista de La Repubblica Stefano Cappellini, in occasione dell’edizione 2019 di Repubblica delle Idee a Bologna, nel Salone del Podestà, è tornato a parlare del futuro del Partito Democratico tra nuovi e vecchi leader.

Prima, una mite stoccata all’attuale segretario Nicola Zingaretti: rispondendo alla domanda del giornalista, che lo incalzava su una frase di Zingaretti sulla «fine dell’egocrazia», presumibilmente indirizzata al senatore Pd, Renzi ha ribadito il primato della leadership nella politica e quindi del singolo leader rispetto al partito, con riferimenti anche a sistemi politici autoritari, come la Cina di Xi Jinping.

«[…] Io penso che un partito politico oggi abbia bisogno di una leadership. Come Zingaretti interpreterà questo ruolo è una sua scelta – ha argomentato Renzi – ma credo che se qualcuno immaginasse oggi un modello politico privo di leadership commetterebbe un errore enorme, perché in ogni Paese, dall’America di Obama o di Trump, alla Francia, al Regno Unito, alla Germania, che dovrà rimpiazzare una leadership potente, alla Cina di Xi Jinping, c’è un leader».

Poi, in un tris di commenti in rapida successione Renzi ha prima smentito il desiderio di fondare un nuovo partito – «Le condizioni c’erano nel 2012 e nel 2014, oggi no» – si è concesso una battuta su Massimo D’Alema il quale aveva rimproverato al Pd di non sapere parlare al popolo – «Questa grande expertise di D’Alema nel voto popolare è una sorpresa…hanno preso meno di Vendola» – e poi, infine, ha preso le distanze anche da Carlo Calenda.

Renzi ha avuto da ridire sia sull’idea paventata da Calenda di formare un partito centrista (poi smentita), sia sul metodo: «Molti dicono che serva una forza di centro accanto al Pd. Carlo Calenda s’è offerto di costruirla. Legittimo, ma non fa per me. Se decidi di fare un partito non chiedi il permesso, se vuoi far la rivoluzione non metti la cintura. E io non mi metto a rifare la Margherita, ho lottato per fare il Pd e ora ci resto, accanto ai nostri veri leader che sono gli amministratori».

I colpi più forti l’ex segretario del Pd li ha riservati al Governo, definito di «incapaci e cialtroni», ma anche ai sindacati e Confindustria, accusandoli di essersi «svegliati in ritardo», ovvero di non essere stati sufficientemente tempestivi nel criticare Quota 100 e il reddito di cittadinanza. Per l’autore del Jobs Act i due provvedimenti porteranno l’Italia inesorabilmente verso la stagnazione.

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