Interviste emergenti: Tho.mas, conversazione tra arte e musica – Milano
L’album di debutto di Tho.mas, all’anagrafe Thomas Costantin, è un crossover di generi e influenze. Per il musicista padovano, classe 1993, Variations – questo il nome del disco – rappresenta il primo punto di arrivo del suo giovanissimo percorso artistico: una strada asfaltata nel mondo della club music, lungo la quale sono frequenti aree di sosta nella musica classica, nel blues e ritmiche attinte dai più svariati generi. Ma il ventiseienne, dj resident dello storico locale Plastic di Milano, ha lasciato che dentro Variations confluissero esperienze di altre forme d’arte. Dalla copertina dell’album, un lavoro del pittore metafisico Gian Filippo Usellini, al cinema di animazione, che è il leitmotiv del singolo di lancio Trip to the Moon. L’abbiamo intervistato per conoscere a fondo un producer, dj e compositore emergente, già apprezzatissimo dalle più grandi maison di moda.
Ciao Tho.mas, per chi non ti conosce, inquadriamo meglio il tuo genere musicale.
«Il progetto di Variations è una sorta di collettivo musicale nella mia testa, racchiude molte influenze. Faccio il dj da quando ho 17 anni e di musica ne mangio tutti i giorni. Sono amante sia della club music, quindi dell’eletttronica, sia delle soundtrack cinematografiche. Mi includerei nella macro categoria dell’elettronica, ma c’è anche una forte parte teatrale nel mio lavoro. Faccio musica spendibile come colonne sonore. Ecco, considerate il disco come una spugna: c’è il valzer, la musica classica e poi l’impronta dei club dove lavoro 12 ore al giorno».
Come descriveresti il processo creativo che porta alla composizione un brano?
«Può sembrare banale, ma la maggior parte delle melodie le sogno durante la notte. Quando chiudo gli occhi mi appaiano dei disegni, dei suoni e poi mi sveglio e li scrivo. Le note sono dei paesaggi onirici. Altre mi capita di proposito di sperimentare nuove strumentazioni, percussioni ritmiche alternative. Sento la mia musica molto vicino al mondo dell’arte: la mia corrente sarebbe la metafisica. Nel processo creativo lascio che l’istinto e l’equilibro si inseguano all’infinito».
Nel video, il backstage del videoclip del brano “Alpha”, in uscita a metà giugno
Ti senti più un cantante o un musicista? O dovremmo definirti più in generale “artista”?
«Artista è un termine che non riesco a usare: l’arte è un percorso talmente strano e variegato che non oso usarlo. Ho imparato a far musica da solo, ecco mi definisco più “creativo”: è un termine più modesto e in linea con i tempi. Siamo molto legati alla comunicazione e l’arte deve scendere a compromessi con la comunicazione. Sì, sicuramente meglio il termine “creativo”».
Quanto la cultura della comunità lgbt influenza il tuo lavoro?
«La cultura Lgbtq+ non influenza tanto la mia musica, quanto la mia estetica. Da piccolo mi sono sempre vestito un po’ strano, non conforme ai canoni novecenteschi. Sento molto mio il “me ne frego” che hanno gridato Elton John, David Bowie e altri idoli di questo mondo».
«Certo, crescendo in una realtà come quella di Padova, 15 anni fa, delle difficoltà le ho avute. A Milano manco mi guardano per strada se ho delle paillettes o delle scarpe particolari. Il motto dev’essere “me ne frego”, nel senso chic del termine. Io credo in me, non nelle critiche fatte solo per distruggere. Cosa penso dei Gay Pride? Sono un po’ agorafobico, è paradossale nonostante lavori nei locali notturni: adoro le parate, le manifestazioni, ma non mi trovo molto a mio agio. La mia lotta quotidiana è riuscire a vivere la mia vita da persona libera. Dal punto di vista sessuale, ma soprattutto per la sfera affettiva che, spesso, passa in secondo piano».
Quando, secondo te, la tua carriera ha avuto una svolta? O la stai ancora aspettando?
«No, realizzato non lo sarò mai. Perché penso sempre a cosa fare dopo aver raggiunto un traguardo, non riesco a fermarmi. Se devo individuare un punto di svolta direi che è stato quando è finita una collaborazione per me importante. Tre anni fa, mi ha buttato giù l’interruzione di quel percorso. Sono stato male per il primo mese. Non avendo più quel progetto, mi sono dedicato ad altro, a partire dalle amicizie e dalle relazioni che poi mi hanno permesso di crescere anche come musicista».
Ci racconti la tua carriera?
«Ho cominciato a lavorare a Padova come dj in situazioni molto scherzose. Mi sono iscritto all’accademia di Brera e mi sono trasferito definitivamente a Milano. Ho iniziato così a suonare al Rocket e poi al Plastic, dove continuo a essere il dj resident del sabato. Pian piano aziende e privati ti conoscono e ti invitano a suonare, anche quella è una fonte di guadagno. Il disco lo vivo invece come un investimento e un piacere, il mio lavoro vero resta quello del dj».
Qual è la tua giornata tipo?
«Mi sveglio abbastanza presto e comincio a lavorare a casa. Ho sempre qualche appuntamento, purtroppo mi tocca passare moltissimo tempo a telefono per organizzare il mio lavoro: di questi tempi mi sento quasi un pr di eventi – ride -. Tendenzialmente andavo a nuotare ogni giorno, adesso non ci sto riuscendo e ci soffro, c’est la vie. La sera non amo stare da solo: lavoro in solitudine durante le ore di luce, quindi la sera preferisco stare a casa con gli amici o in qualche locale».
Chi vuoi ringraziare per essere arrivato fin qui?
«Per il disco senz’altro Francesco Pistoi, executive producer di Variations. L’album nasce da un bando Siae che abbiamo vinto: così è stato possibile produrre 2.000 copie tra cd e vinili. Voglio ringraziare anche Pietro Giola, il mio editore, e Nicola Guiducci, uno dei più cari amici del Plastic: mi ha insegnato tantissimo. E mia madre, ovviamente, più di chiunque altro: lei mi ha dato infinita fiducia e libertà».
Aspettative per il futuro?
«Adesso sto scrivendo il secondo disco, uscirà nel 2020: ma la cosa che amo fare di più legata al mio lavoro è girare per i club e suonare la mia musica dal vivo: credo che gli ascoltatori possano apprezzare di più il live, e io do il meglio di me da performer».
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