Parla la Polizia: «Ecco perché rimuoviamo gli striscioni. Ingiusto dire che apparteniamo a Salvini»
La Polizia di Stato è la Polizia di Salvini? Questa e altre domande sono state rivolte da Open a Girolamo Lacquaniti, portavoce nazionale dell’ANFP (Associazione Nazionale Funzionari di Polizia), per discutere delle critiche rivolte alle forze dell’ordine in merito alla rimozione degli striscioni e di altri episodi ritenuti controversi dall’opinione pubblica.
A Cremona un ragazzo è stato aggredito dai simpatizzanti leghisti per aver esposto una sciarpa con la scritta «ama il tuo prossimo». Nulla di male, nessun insulto, mentre rimane chiaro l’intento critico nei confronti di Salvini. Non è stata la Digos a intervenire, mentre a Roma nel 2018 a Piazza del Popolo un altro ragazzo con un cartello riportante la stessa frase era stato fermato e identificato dalla Polizia. Che differenza c’è tra i due episodi?
Probabilmente nell’episodio di Cremona la sciarpa è sfuggita oppure è stata notata quando un intervento sarebbe stato considerato forse inopportuno. C’è un problema di fondo che credo debba essere spiegato. La rimozione di alcuni striscioni viene vista come una limitazione della libertà di espressione, in realtà c’è una norma che riguarda soprattutto i momenti di natura elettorale, che vede questa attività non come un contraddittorio.
Parliamo della legge del 4 aprile del 1956 che fissa proprio in queste fasi, soprattutto nei comizi elettorali, il principio che non ci deve essere azione di disturbo da parte di chi la pensa in modo diverso, tanto è vero che per esempio è anche esplicitamente vietato fare l’attività di volantinaggio che di per sé non è un’attività vietata in senso lato.
Quindi, questa idea di immaginare i nostri interventi come interventi che limitano la libertà di espressione è sbagliata perché servono a rispettare una legge del 1956 tuttora vigente che non fa nemmeno parte del periodo fascista. C’è un altro principio fondamentale e riguarda tutte le attività che riguardano la manifestazione del pensiero e che ci impone di tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica, che vuol dire evitare sempre qualsiasi azione di provocazione, di sfottò, di attività che possano essere vissute come elemento di provocazione da parte degli altri soggetti.
Vale per tutte le manifestazioni?
Vale per tutte le manifestazioni, è sempre stato fatto. Vorrei ricordare quante volte si è intervenuti perché magari in una manifestazione su un determinato tema organizzato da una parte politica quest’ultima non accetta all’interno del proprio corteo una parte politica diversa dicendo: «Questo è il nostro corteo e non vogliamo che ci siate anche voi».
In questo senso le Forze dell’Ordine, la Polizia e soprattutto le autorità provinciali di pubblica sicurezza hanno quest’obbligo: garantire l’ordine e la sicurezza pubblica. Come si garantisce? In modo preventivo, togliendo tutti quegli elementi che rappresentano provocazione, disturbo e che quindi rischiano di innescare, come ahimè è capitato a Cremona, reazioni che certamente costituiscono reato.
In particolare, sul fatto di Cremona è un reato di lesioni, in presenza di referto medico, o percosse, in assenza di referto medico, procedibile a querela di parte. Questo per dare anche una spiegazione procedurale.
Il ragazzo non ha ancora sporto denuncia e gli utenti in questo caso si potrebbero domandare come mai non ci pensiate voi.
Che mi risulti non ha denunciato. Qualcuno potrebbe domandarci «Perché non li avete ancora denunciati?». C’è una condizione di procedibilità dove il reato va denunciato a querela di parte, dunque da parte del ragazzo, a meno che non ci sia un referto superiore a 20 giorni e in quel caso si procede d’ufficio.
C’è stato anche l’episodio dello striscione gigantesco con l’immagine di Salvini e Di Maio la cui rimozione è stata considerata assurda, come per altri episodi riguardanti altre manifestazioni del pensiero prive di insulti e in alcuni casi molto goliardiche. La Polizia di Stato non può chiudere un occhio?
Per le dimensioni e il posizionamento (dello striscione), la Questura di Roma ha dato una risposta sempre in termini di legge. Nel momento in cui le leggi attuali dovessero essere viste come effettiva limitazione e si aprisse la possibilità di favorire, in determinati contesti, anche forme di contraddittorio, noi seguiremo la legge. Tuttavia, è evidente che soprattutto nel momento in cui molte persone vanno ad ascoltare un soggetto politico, la provocazione e il contraddittorio vanno accettate da entrambe le parti. La legge per definizione è uguale per tutti.
Vi accusano di difendere solo Salvini quando ci sono contromanifestazioni ai suoi comizi. Cosa è cambiato nella gestione della Polizia di Stato in occasione di sue manifestazioni rispetto ai precedenti ministri dell’Interno?
Le potrei fare una piccola citazione personale. Sono figlio e nipote di funzionari di Polizia, questo non perché sono raccomandato come si potrebbe pensare ma perché erano gli anni in cui i nostri concorsi andavano deserti e non si riusciva a coprire le mancanze e chi era laureato in giurisprudenza preferiva fare un altro lavoro.
Ero ancora un ragazzino e in un mio libro di scuola c’era scritta la frase «la Polizia di Scelba». Ricordo molto bene che mio nonno, questore durante il governo Scelba, cancellò con un tratto di penna quella frase e scrisse «la Polizia, durante il mandato del ministro Scelba» dandomi questa lezione: «Ricorda sempre, e dillo al tuo professore, che la Polizia non appartiene mai a una persona e non appartiene mai a un ministro».
C’era il ministro Scelba, così come poi sono arrivati altri ministri come Napolitano, Maroni, io ho una carriera in cui si sono succeduti diversi ministri degli Interni e di correnti politiche diverse. Quello che sicuramente è cambiato rispetto al passato, a parte la parentesi di Alfano in un breve periodo, è che oggi la figura del ministro dell’Interno coincide con quella di un segretario di partito. Questo ha cambiato la percezione e ha cambiato le dinamiche con cui si cerca di fare consenso, non cambia la Polizia di Stato che mantiene un’essenza legata alle leggi dello Stato.
Nei commenti e nell’immaginario collettivo si sostiene che sia Salvini a ordinare alla Polizia di rimuovere i cartelloni. Il ministro dell’Interno ha questo potere?
Premesso che il ministro dell’Interno è l’autorità nazionale di pubblica sicurezza, ma non ordina per il semplice fatto che noi provvediamo autonomamente, così come togliamo gli striscioni o le provocazioni di destra e di qualsiasi partito, nel momento in cui ci sono delle manifestazioni di senso opposto. Non è che usiamo due pesi e due misure, dove va garantito l’ordine e la sicurezza pubblica la Polizia di Stato ha l’obbligo di rimuovere quelle che sono le fonti di rischio, di provocazione e di rischio di incidente. Molto semplicemente.
Ieri la Digos è intervenuta contro un nazifascista che aveva esposto una bandiera delle SS sul balcone. Alcuni utenti sui social hanno scritto che gli agenti erano andati a congratularsi o si erano confusi pensando che le lettere SS significassero tutt’altro e in particolare insulti a Salvini. Questa situazione come la state vivendo?
La viviamo consapevoli che questa deriva è un rischio per la tenuta democratica del Paese. Uso una similitudine semplice: noi abbiamo quel ruolo, molto difficile ma indispensabile, di arbitro. Siamo come un arbitro di calcio che deve far rispettare le regole nel momento in cui ci sono due contendenti che puntano alla vittoria e si contrastano.
Noi dobbiamo fare in modo che questo incontro, che questa disputa, si svolga rispettando le regole. In questo ruolo difficile anche l’arbitro può sbagliare, perché magari non vede qualcosa o per un errore tecnico, o perché pressato dallo Stadio. Si presuppone che sbagli in buona fede, se invece l’arbitro viene etichettato e la gente si convince che in realtà è tifoso dell’altra squadra è chiaro che il rischio riguarda proprio la tenuta, tornando alla Polizia, del sistema dell’ordine e della sicurezza pubblica.
La viviamo male soprattutto perché quando succedono incidenti di piazza qualcuno ritira ancora fuori la vecchia e bellissima lettera di Pasolini del ’68. I poliziotti di oggi non sono quelli del ’68 di Pasolini, non sono quei ragazzi che vengono da situazioni di criticità, sono ragazzi che hanno titoli di studio importanti anche per quanto riguarda i ruoli esecutivi.
I ragazzi che stiamo facendo arrivare hanno la laurea o stanno seguendo un corso di laurea. Il fatto che si dica che apparteniamo a un soggetto politico anziché alla gente, anziché ai cittadini, noi lo viviamo molto male e come un’ingiustizia nei nostri confronti, ma soprattutto come un autentico rischio e pericolo perché aumenta l’astio nei nostri confronti, aumenta enormemente la pressione psicologica che i ragazzi devono subire e che anche i dirigenti subiscono. È molto brutto essere percepiti come oggetto di qualcuno, questa è una cosa che proprio ci offende.
Tornando alla similitudine calcistica, anche gli arbitri sbagliano e in alcuni casi vengono giustamente criticati.
Noi già facciamo gli arbitri, già siamo consapevoli di essere esposti a critiche che accettiamo nei modi corretti perché nessuno di noi è o si sente infallibile. Accettiamo le critiche, accettiamo gli insulti che riceviamo mentre cerchiamo di fare il nostro lavoro, ma essere scambiati per ultras della squadra avversaria è una cosa che non ci dispiace solamente dal punto di vista personale, ma ci preoccupa perché sta trasformando e sta riportando indietro in un triste passato il rischio di scontri violenti con noi.
Dovremmo recuperare un po’ di storia e capire quali sono i rischi di far coincidere la Polizia di Stato con un’espressione politica di qualsiasi tipo. Noi non vogliamo essere e non ci sentiamo di essere di nessun partito, né di destra né di sinistra, né nel passato né oggi. Ripeto, la Polizia non è cambiata quando c’è stato il primo ministro dell’Interno che proveniva dall’ex Partito Comunista, Giorgio Napolitano, e non è cambiata quando c’è stato il primo ministro dell’Interno leghista, Roberto Maroni, perché la Polizia cambia solamente quando cambiano le leggi adeguandosi alle leggi che vengono emanate, non c’è nient’altro.
Le leggi mirano a spegnere la contrapposizione violenta, la contrapposizione che crea la provocazione, che crea il disturbo sistematico dell’avversario. Ecco, noi seguiamo semplicemente queste regole e le seguiamo in tutti i casi. Le faccio anche un altro esempio: spesso, quando ci sono le manifestazioni, si dice che secondo la Questura i presenti sono la metà o un decimo: ricordo benissimo quando durante una manifestazione del Governo, a guida Berlusconi, a piazza San Giovanni gli organizzatori dissero che erano un milione mentre la Questura, come aveva fatto nelle manifestazioni precedenti e con la stessa occupazione del suolo pubblico, disse che in realtà erano cento mila e gli organizzatori si scatenarono in critiche feroci nei nostri confronti.
I calcoli sui numeri li facciamo su basi scientifiche, come quanti metri quadrati ci sono e quante persone possono occupare un metro quadro e rimaniamo coerenti senza farci condizionare. Essendo un’istituzione, se dovessimo mancare di coerenza sarebbe legittimo dubitare della Polizia, il nostro lavoro è tanto più facile quanto si gode della fiducia della gente e dei cittadini e non come concetto astratto, ma come concetto molto concreto: se uno si fida della Polizia non avrà intenzione di scontrarsi, nel momento in cui vede la Polizia come un soggetto politico o appartenente a un politico avverso è chiaro che l’animosità è diversa.
Parlando di errori, a Genova è stato caricato un giornalista alzando l’attenzione e le critiche del mondo del giornalismo.
Legittimo.
Cosa non ha funzionato quel giorno? I ricordi del G8 di Genova sono ancora vivi e pesano sull’opinione pubblica.
Non si è trattato, indubbiamente, di un semplice errore. Si tratta di un comportamento per cui la Procura ha giustamente aperto un fascicolo di indagine. Il problema è di quanto è prolungato e di quanto violenta è stata la contestazione. Genova era stata preceduta da altri scontri in altre città dove molti colleghi hanno riscontrato una volontà di arrivare allo scontro fisico e violento che prima non c’era.
I miei colleghi me lo avevano raccontato quando era successo a Napoli con quella transenna che era volata contro un poliziotto, ci sono stati degli episodi che ci hanno fatto capire che siamo diventati uno strumento sul quale fare politica e questa è una cosa che ci mette in imbarazzo. Tornando al caso di Genova, la contestazione nasceva, diciamocelo francamente, perché si ritiene che Casapound sia un soggetto fuori legge da parte di alcuni, ma non può essere la Polizia a definirla fuori legge o meno.
Fino a quando un’organizzazione politica può presentarsi a delle elezioni gode di tutti gli stessi diritti di cui godono coloro i quali si possono presentare a quelle manifestazioni. Noi abbiamo enormemente apprezzato, e credo che sia anche un segno del cambiamento dei tempi e di tutto il lavoro che è stato fatto dopo il 2001, che gli operatori di Polizia coinvolti si sono presentati in Procura.
Se c’è stato un fatto che dovrà essere giudicato dall’autorità giudiziaria c’è almeno da dire che gli agenti si sono comportati da poliziotti assumendosi la responsabilità di quello che era avvenuto e di quello che avevano fatto. Spetterà a loro spiegare, secondo il diritto di difesa, come si sono svolti i fatti, del perché è stato coinvolto un giornalista e del perché ci sono state delle fasi successive che non sembrano trovare giustificazione alcuna.
Riferimenti normativi sui comizi
Durante l’intervista il portavoce nazionale dell’ANFP, Girolamo Lacquaniti, ha citato correttamente la legge n.2012 del 4 aprile 1956 che letta singolarmente non fornisce una chiara risposta a eventuali quesiti degli utenti che si apprestano a consultarne il testo.
Pur non essendo tutti addetti ai lavori, basta fare una ricerca con Google per trovare i riferimenti riguardanti la «Disciplina della propaganda elettorale» e osservare che vengono citate altre leggi come la n.130 del 24 aprile 1975, che modifica quella del 1956, e le circolari del Ministero dell’Interno pubblicate dalla Direzione generale dell’amministrazione civile e quella per i servizi elettorali. In questo caso il punto di riferimento è la circolare dell’8 aprile 1980 che viene ripresa dalle prefetture ad ogni tornata elettorale come alle passate Elezioni europee del 2014.
Al punto «Le riunioni di propaganda elettorale dal punto di vista della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica» leggiamo:
In quest’ordine di idee, deve ritenersi, altresì, consentito, facendosi leva anche su azioni preventive intese a ricercare l’accordo con le parti interessate, svolgere ogni intervento, fino a quelli coercitivi, per evitare:
– la distribuzione di volantini quando sia rivolta a partecipanti a comizi di diverso orientamento politico;
– il transito di mezzi mobili, annunzianti l’ora ed il luogo di comizi, in prossimità di piazze, strade o locali ove siano in corso altre manifestazioni elettorali;
– cortei o parate nelle prossimità di dette piazze, strade, o locali.
Interventi siffatti sono da ritenere facoltizzati dai poteri generali della polizia di sicurezza, da quelli specifici a difesa dell’ordine pubblico e della pubblica tranquillità e dalla stessa normativa penale, nella materia di cui trattasi.
Senza fare i «furbi», «volantini» o «striscioni» vengono considerati elementi di disturbo indifferentemente dalle parti politiche coinvolte. Infatti, la legge è uguale per tutti e in caso contrario queste norme risulterebbero incostituzionali. Per quale motivo esistono certe regole oltre al legame con la sicurezza e l’ordine pubblico? Perché impedire di esprimere il proprio pensiero durante la campagna elettorale durante il comizio di una parte avversa?
Quello che si vuole evitare è che prevalga la cosiddetta «legge del branco»: se un partito non ha un largo seguito può essere “soffocato” dalla parte avversa, più numerosa e rumorosa, che potrebbe impedirgli di esprimere il proprio pensiero durante un comizio elettorale in piazza.
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