Il gip di Bari sugli striscioni rimossi: «Dire “fascista” a un politico non è reato»
Il tribunale di Bari ha archiviato l’indagine per vilipendio nei confronti di Matteo Salvini, che il 21 maggio scorso era stato criticato con due striscioni durante un comizio a Gioia del Colle.
Il giudice per le indagini preliminari ha accolto in pieno la tesi della procura, che non aveva convalidato il sequestro dei due striscioni, chiedendo l’archiviazione dell’indagine aperta contro ignoti.
Secondo la pm Iolanda Daniela Chiementi, le frasi riportate sugli striscioni non si riferiscono alla persona di Matteo Salvini, ma all’attività e alle linee politiche del ministro dell’Interno e della Lega e «costituiscono espressione di personale dissenso e di personale opinione politica».
Gli striscioni
Gli striscioni incriminati erano due. Su uno era riportata la frase «Meglio lesbica e comunista che salviniana e fascista», sull’altro «Questa Lega è una vergogna, Pino Daniele».
I due striscioni, rimossi e sequestrati dai carabinieri, erano stati posizionati uno su un cavalcavia sulla Statale 100 all’altezza di Gioia del Colle e l’altro sul ponte della ferrovia della città.
La posizione della procura
Secondo la procura «l’uso dell’epiteto “fascista” per caratterizzare l’ideologia politica del segretario di un partito leader di un movimento politico, in occasione o comunque in vista di un comizio elettorale da egli in tale veste tenuto, costituisce una normale critica politica anche se espressa in toni aspri».
Il magistrato ha deciso di non convalidare il sequestro e di restituire gli striscioni agli autori delle scritte: «Affermare che un partito politico è una vergogna ed esprimere il proprio convincimento su omosessualità ed omofobia, sebbene contrapponendolo a quello del leader contestato – si legge nel decreto – è una legittima manifestazione del pensiero scevro da connotati denigratori».
La pm ha motivato il dissequestro e la richiesta di archiviazione del fascicolo facendo riferimento a diverse sentenze della Cassazione e della Corte Costituzionale, oltre al diritto di critica e libertà di manifestazione del pensiero tutelati dall’art. 21 della Costituzione e dall’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Il magistrato ha inoltre chiarito che le frasi sugli striscioni non erano dirette a nessuna delle istituzioni il cui prestigio è tutelato dalle specifiche norme di legge (Vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate) ma, come detto, «al più, alla persona di Matteo Salvini e al partito di cui egli è segretario».
Per la Procura nella valutazione della portata offensiva di una espressione, «soprattutto quando utilizzata in un contesto politico», è necessario soppesare il diritto costituzionalmente tutelato a manifestare liberamente il proprio pensiero «con quello, di pari rango, alla reputazione del singolo come tale ed in relazione alla carica ricoperta».
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