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Premio Strega 2019, guida alla lettura. Quali sono gli incipit dei 5 libri finalisti

04 Luglio 2019 - 17:08 OPEN
Avete poche ore per mettervi in pari con la lettura prima della proclamazione del vincitore. Ma se cinque libri in un pomeriggio sono troppi, lasciatevi ispirare dall'incipit che vi attira di più

Ogni anno, nel primo giovedì di luglio, al ninfeo di Villa Giulia di Roma si ritrovano gli Amici della domenica per eleggere il vincitore del premio Strega. Da oltre 70 anni, l’evento si circonda di un’aura quasi sacrale. Quest’anno l’esperienza del Salone del Libro e delle sue controversie politiche ci ha riportato con i piedi per terra: la cultura e la vita quotidiana non camminano su binari paralleli, ma da sempre continuano a pestarsi i piedi a vicenda. Carichi di questa nuova consapevolezza, potete avvicinarvi all’appuntamento di questo 4 luglio.

I titoli in corsa per la finale sono M. Il figlio del secolo (Bompiani) di Antonio Scurati con 312 voti, Il rumore del mondo (Mondadori) di Benedetta Cibrario con 203 voti, Fedeltà (Einaudi) di Marco Missiroli con 189 voti, La straniera (La nave di Teseo) di Claudia Durastanti con 162 voti e Addio fantasmi (Einaudi) di Nadia Terranova con 159 voti.

La giuria che ha selezionato questi titoli era composta da 660 votanti: oltre ai 400 Amici della domenica, c’erano 200 votanti all’estero selezionati da 20 Istituti italiani di cultura, 20 voti collettivi di biblioteche, università e circoli di lettura, uniti alle preferenze di 40 lettori selezionati da 20 librerie dell’Ali.

Se non li avete ancora letti, siete ancora in tempo per rimediare con un paio tra quelli che vi ispirano di più. Per aiutarvi nella scelta, Open ha selezionato gli incipit della cinquina finalista. Buona lettura!

M. Il figlio del secolo (Bompiani) di Antonio Scurati

«Affacciamo sulla piazza del Santo Sepolcro. Cento persone scarse, tutti uomini che non contano niente. Siamo pochi e siamo morti. Aspettano che io parli ma io non ho nulla da dire. La scena è vuota, alluvionata da undici milioni di cadaveri, una marea di corpi – ridotti a poltiglia, liquefatti – montata dalle trincee del Carso, dell’Ortigara, dell’Isonzo. I nostri eroi sono già stati uccisi o lo saranno. Li amiamo fino all’ultimo, senza distinzioni. Sediamo sul mucchio sacro dei morti».

Il rumore del mondo (Mondadori) di Benedetta Cibrario

«Alle prime luci dell’alba le campagne intorno a Rouen, dopo una settimana di pioggia, avevano una lucentezza di smalto. Anne Bacon strofinava i piedi l’uno contro l’altro, tentando di scaldare le dita gelate. Aveva brividi in tutto il corpo e le labbra secche. Avrebbe bevuto volentieri un po’ d’acqua, ma si sentiva troppo debole per sollevarsi dal letto. Provò a girarsi sul fianco. Se Eliza non era ancora arrivata con una tazza di tè, doveva essere ancora molto presto».

Fedeltà (Einaudi) di Marco Missiroli

«– Tua moglie mi ha seguita.
– Mia moglie.
– Fino a qui –. Sofia lo fissò: – Professore?
Lui guardava l’entrata dell’aula.
– Credo sia in cortile.
Carlo Pentecoste andò alla finestra e riconobbe Margherita per il cappotto amaranto che indossava dal secondo giorno di primavera. Si era seduta sul muricciolo e leggeva un libro, ancora Némirovsky, teneva una gamba accavallata e con la mano libera vegliava lo zaino. Era fine marzo e una foschia inattesa attraversava Milano».

La straniera (La nave di Teseo) di Claudia Durastanti

«Mia madre e mio padre si sono conosciuti il giorno in cui lui ha cercato di buttarsi da ponte Sisto a Trastevere. Era un buon punto da cui cadere: nonostante fosse un bravo nuotatore, l’impatto con l’acqua lo avrebbe paralizzato, e il Tevere in quei giorni era già tossico e verde.
Mia madre camminava a testa bassa e con le spalle contratte come se piovesse sempre, soprattutto quando era sola, ma quel giorno si era fermata sul ponte e aveva visto un ragazzo a cavalcioni sul parapetto».

Addio fantasmi (Einaudi) di Nadia Terranova

«Una mattina di metà settembre mia madre mi telefonò per avvisarmi che entro qualche giorno sarebbero iniziati i lavori sul tetto di casa nostra. Disse proprio cosí: nostra. Ma io avevo già da tempo in un’altra città un’altra casa a cui badare, una casa presa in affitto da me e da un’altra persona insieme; non esisteva piú una casa che avrei chiamato nostra, quell’etichetta si era staccata quando ero andata via e negli anni successivi ne avevo ripulito la memoria con accurata violenza».

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