Volley, la nazionale sorde sul tetto d’Europa. La Ct: «Vi spiego come ci alleniamo» – L’intervista
Le ragazze dell’impresa sono in aeroporto a Cagliari: dopo una serata di festeggiamenti per la vittoria della finale degli Europei, le pallavoliste sorde sono di ritorno alla propria vita: «Hanno tutte un lavoro o sono studentesse universitarie», racconta l’allenatrice, Alessandra Campedelli. Nella vita di tutti giorni è un’insegnante, oggi è la coach che ha portato la Nazionale al titolo più importante della sua storia: è la prima medaglia d’oro di sempre. Open l’ha intervistata, prima che passasse il metal detector e si imbarcasse sul volo verso casa. Trentina, classe 1974, si è avvicinata alla pallavolo grazie a suo figlio Riccardo: «È nato udente, ma dopo 3 mesi dalla nascita ha sviluppato la sordità». Campedelli, che già aveva fatto un po’ di esperienza di coaching durante l’Isef, ha cominciato ad allenare i ragazzi come hobby, dopo «l’intervento per l’installazione dell’impianto cocleare a mio figlio. I medici dissero che non avrebbe potuto fare attività che prevedevano il contatto fisico, e quindi l’abbiamo iscritto a un corso di pallavolo».
Quindi questo traguardo è anche merito di Riccardo?
«Ero e sono convinta che lo sport di squadra sia fondamentale nella crescita di un ragazzo udente, figuriamoci per un bambino sordo. Così abbiamo scelto la pallavolo, che adesso è diventata una costante delle nostre vite: ti dà una vita più sana, sviluppa le attitudini sociali e le competenze comunicative. Oggi Riccardo ha 17 anni ed è un palleggiatore dell’under della Calzedonia Verona. Gioca anche nella Nazionale pallavolisti sordi maschile. Il fratello maggiore milita in SuperLega a Milano».
E la mamma ha portato alla vittoria, per la prima volta, la Nazionale italiana volley sorde.
«È stato un susseguirsi di emozioni incredibili perché non ci saremmo mai aspettate di vincere con una prestazione così perfetta. Vedendo i parziali (25-13, 25-19 e 25-16, ndr) può sembrare una partita facile: la verità è che la Russia fisicamente ci dominava. Ma rispettando alla lettera l’organizzazione tattica, hanno sovrastato con la tecnica le avversarie. Si percepiva un filo di intensità e spirito di squadra che collegava le ragazze dai piedi».
La prima medaglia d’oro per la Federazione.
«Io nemmeno lo sapevo: per me è stata una sorpresa. Ma dovete vedere le ragazze, quella che per me è una gioia grande, per loro è immensa, incontenibile. È come se si fosse realizzato il sogno della vita, capite? Dopo la premiazione sul campo con la coppa degli Europei, ci sono stati i premi individuali: abbiamo ottenuto il miglior palleggiatore con Claudia Gennaro, il premio come miglior schiacciatrice e come miglior giocatrice del torneo Alice Tomat, e io il premio di best coach. Stiamo ancora cercando di realizzare la cosa. L’emozione però è sempre riferita al percorso intero, non si limita alla vittoria di ieri sera».
Ci sono giocatrici più esperte che hanno trascinato la squadra alla vittoria?
«Assolutamente no, è una vittoria di squadra appunto. Certo ci sono le giocatrici più esperte, e sono quelle che hanno giocato i Giochi olimpici per sordi a Samsun, in Turchia, nel 2017. Ma ci sono anche cinque ragazze che l’anno scorso hanno partecipato nella Nazionale sorde under21 al torneo di Palermo. Ho potuto portarne con me 14 in totale. Stiamo lavorando tanto, con tanti sacrifici perché questo non è il nostro lavoro: ma dobbiamo migliorarci sempre di più visto che da settembre inizia la preparazione dei Campionati del Mondo che si disputeranno proprio in Italia a giugno 2020».
Cosa fanno le ragazze nella vita di tutti i giorni?
«Tutte quante lavorano oppure studiano, come noi dello staff del resto. Siamo, davvero, dei volontari: ci riusciamo a trovare una volta al mese, grazie all’aiuto di alcuni enti o società Fipav (Federazione italiana pallavolo, ndr) che ci aiutano. Io sono un’insegnante, e devo perdere dei giorni a scuola per allenarle. Molte ragazze scelgono di spendere così i propri giorni di ferie. In quest’avventura per fortuna ho avuto come secondo allenatore – ride perché le tocca definirlo “secondo” – Angelo Frigoni, che è stato un allenatore importantissimo per la pallavolo italiana».
Come funziona la preparazione delle ragazze?
«Le atlete si allenano e giocano nei veri campionati Fipav, nei club delle città dove vivono. A proposito, fatemi ringraziare le squadre: la preparazione di questa Nazionale è in gran parte merito loro, visto che lo staff delle azzurre le può vedere 7-8 volte l’anno prima dei tornei. C’è un lavoro di continuo coordinamento con le squadre. La Fssi, la federazione dei sordi, deve organizzare attività per più di 30 sport: 21 sono attività olimpiche, 26 prevedono competizioni internazionali. Il sostegno economico per la logistica è purtroppo piccolo, ci hanno aiutato tanto le sponsorizzazioni della Cattolica assicurazioni e dell’azienda Cochlear: indispensabili per raggiungere questo traguardo».
Le partite e gli allenamenti per ragazze sorde sono diversi?
«Quando le ragazze giocano con gli udenti, possono utilizzare gli apparecchi uditivi. All’interno della squadra c’è chi porta semplici amplificatori acustici oppure impianti cocleari che ricreano le frequenze. Quando giocano nella nazionale sorde non possono utilizzarli. Ovviamente le difficoltà non sono dal punto di vista cognitivo. Il problema è fare arrivare le informazioni che le permettono di crescere e giocare di squadra: devono sempre guardarmi perché mi possono comprendere solo con il labiale o la lingua dei segni. Ecco, la cosa più difficile è selezionare le informazioni e trasmetterle per farle arrivare nei tempi brevissimi di una partita. L’allenatore normalmente può e deve dare tanti feedback vocali. Io invece ho bisogno sempre di attirare la loro attenzione affinché possano guardarmi. Gli allenamenti invece si strutturano in maniera più lenta, con parecchie pause. Il segreto è fare un’accurata selezione prioritaria delle informazioni da passare alle ragazze».
Insomma, una vittoria che ha molto di artigianale.
«Assolutamente, è l’aggettivo più adatto. Abbiamo costruito, partendo dalle fondamenta, con un mattoncino alla volta. Sono ragazze con obiettivi molti diversi e peculiarità diverse: c’è chi comunica solo con la lingua dei segni e tende frequentare solo chi comunica in Lis, c’è invece chi parla e frequenta solo chi parla. Vi dico questo perché la cosa più bella di questa esperienza è stata quella di riuscire a creare una squadra di persone eterogenee: anche la comunità dei sordi è una comunità molto variegata. Con la Nazionale abbiamo costruito un ponte tra tanti mondi comunicativi. Comunicare l’inno di Mameli con la lingua dei segni aveva questa obiettivo: chi cantava ha imparato a farlo in Lis, chi “segnava” ha imparato a cantarlo. Questo è il simbolo più forte di questa squadra. Ed è stato bellissimo vedere che, dopo averlo fatto due anni fa alle Olimpiadi, adesso tutte le altre nazionali ci hanno imitato. Siamo state precursori in questo ed è la prima competizione internazionale della pallavolo per sorde dove si è potuto assistere a questo spettacolo».
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