Hong Kong, l’attivista Joshua Wong: «Il nostro obiettivo finale è la democrazia»
Non è corretto chiamare Joshua Wong, 22enne fondatore del partito Demosisto per l’autodeterminazione dalla Cina, il leader delle proteste di questi giorni a Hong Kong. Non solo perché è appena uscito dal carcere, dove ha scontato due mesi per i disordini durante i giorni del Movimento degli ombrelli del 2014. Ma soprattutto perché, a detta sua, la battaglia contro l’estradizione «non ha nessun capo».
«Questo movimento è diverso da quello degli ombrelli: più organico, ma decentrato, senza leader», ha commentato in un’intervista a La Repubblica. Il giovane attivista tenterà di fare da punto di riferimento per la comunità internazionale per arrivare alle dimissioni di Carrie Lam e ad avere elezioni libere, ma non ci sarà bisogno di fomentare le proteste: «Mercoledì scorso nessuno ha preso il microfono invitando a occupare le strade attorno al Parlamento, è stata un’azione spontanea».
Ora «la battaglia continua», ha riferito Wong, che in carcere ha potuto riposarsi «molto più che fuori» («Ho letto molti libri e giornali, guardavo il tg e sono rimasto aggiornato, è stata dura non poterci essere»). E continua nonostante la sospensione della legge promossa da Lam: «L’obiettivo finale è la democrazia. Solo concedendola, Pechino può governare Hong Kong».
Le scuse di Lam ai cittadini
«Dopo i fatti degli ultimi giorni mi chiedo se sia possibile per Pechino governare Hong Kong», ha specificato Wong, definendo la sua città la «città della protesta». E non è un giudizio senza fondamenta: una settimana fa, a scendere in piazza sono state quasi due milioni di persone.
Una protesta iniziata con marce oceaniche e che ha portato i manifestanti a scontrarsi con le forze dell’ordine. Dopo le tensioni, Lam si è scusata con i cittadini in una conferenza stampa: «Vi ho sentito forte e chiaro e ho riflettuto profondamente su quello che è accaduto», aveva detto. «Porto su di me il peso della responsabilità e offro le più sincere scuse alla gente di Hong Kong».
«Dopo una protesta del genere, ha saputo solo esprimere scuse non sincere, ignorando le richieste dei cittadini», ha commentato Wong. «Noi vogliamo quattro cose: che la legge sull’estradizione sia ritirata, che gli arresti e le indagini sugli attivisti siano cancellati, che i manifestanti non siano più definiti “rivoltosi” e che Lam si dimetta. È il momento che impari cosa significa rispetto e si goda la pensione».
E se la governatrice si dimettesse sul serio e Pechino nominasse un esecutivo peggiore? «Difficile pensare a qualcuno peggiore. Carrie Lam ha trasformato un’intera generazione di cittadini in attivisti e credo che nel caos della guerra commerciale anche Xi Jinping abbia capito che è un fardello. Ma certo, anche il prossimo sarà un burattino di Pechino. Per questo vogliamo libere elezioni».
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