Riforma della Giustizia, il governo: «Processi più brevi e più meritocrazia per le carriere»
La Giustizia non può più attendere. Lo scandalo del Csm ha messo l’acceleratore alle riforme da tempo annunciate dal Governo gialloverde, soprattutto dalla sua metà grillina, che ieri sera, 19 giugno, si è riunito in un vertice a palazzo Chigi tra il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, la ministra della Funzione Pubblica Giulia Bongiorno, il premier Conte e i due vicepremier, alla fine del Consiglio dei ministri finito a tarda sera.
Provvedimenti e decisioni necessarie non solo a sanare la falle venute a galla nelle ultime settimane, ma anche ad accogliere lo stop alla prescrizione in arrivo nel 2020. «Il vertice è andato molto bene», ha detto Bonafede, «entro dicembre dovrà essere approvata la riforma della giustizia che riguarda il processo civile e quello penale per avere tempi certi dei processi. L’obiettivo è il dimezzamento».
Bonafede: «Nel Csm più meritocrazia»
Il Governo punta alla riduzione dei tempi dei processi, intavolando anche un abbozzo sul tema delle intercettazioni. E senza dimenticare i provvedimenti sul Consiglio Superiore della Magistrature: «Abbiamo deciso che nella riforma del processo civile e penale ci sia anche la riforma del Csm – ha continuato Bonafede – intervenendo sulla carriera del magistrato affinché la meritocrazia abbia un ruolo centrale nella possibilità di ambire a ruoli apicali».
«Ci siamo concentrati molto su tempi del processo e su come farli rispettare da parte dei magistrati che devono essere messi in condizione di lavorare», ha continuato il ministro 5stelle. «Poi, nel caso in cui un magistrato non rispetti le tempistiche date, possono essere previste misure di carattere disciplinare».
Bonafede ha parlato anche di un tetto massimo di 240mila euro lordi annui di compenso per i consiglieri della magistratura. Già nel 2017 la cifra era stata promossa dalla Consulta per le retribuzioni dei dipendenti pubblici.
Greco: «Nel Csm logiche romane lontane dal mondo del Nord»
«È un mondo che non ci appartiene, che non appartiene soprattutto ai magistrati del Nord e che vive negli alberghi e nelle retrovie della burocrazia romana». Anche il procuratore di Milano Francesco Greco è intervenuto sul dibattito attorno allo scandalo del Csm.
Durante un convegno nel Palazzo di giustizia di Milano dedicato al collega Walter Mappelli, scomparso l’8 aprile scorso, Greco ha sfogato la sua rabbia nei confronti dell’inchiesta di «inaudita gravità» che ha travolto l’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara. Una questione che ha fatto «emergere l’esistenza di una questione morale nella magistratura».
«Io e Mappelli abbiamo vissuto la stessa situazione di umiliazione per avere lavorato per tutelare l’economia sana, ma queste non erano cose utili per ottenere un incarico direttivo», ha aggiunto. «abbiamo dovuto conoscere, apprendere nelle sue logiche di funzionamento [delle logiche romane, ndR] e che ci ha lasciati sconcertati e umiliati».
Pur accennando al Nord con « mero valore metaforico», ha insistito sulla sua esperienza risalente a quando presentò la domanda al Csm: «Ci chiedevamo “in fondo noi abbiamo lavorato come tanti magistrati, riteniamo che per anzianità, per meriti, per alcuni risultati ottenuti e per le nostre potenzialità ancora inespresse possiamo fare questo tipo di domande” e invece poi capisci che le logiche sono altre».
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