Eletto il nuovo direttore della Fao: chi è il cinese Qu Dongyu
È il biologo cinese Qu Dongyu il nuovo direttore generale della Fao, l’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura che ha sede a Roma. Eletto al primo scrutinio, il viceministro dell’Agricoltura di Pechino ha battuto i candidati di Francia e Georgia con 108 voti favorevoli su 191 Paesi. Prende il posto del brasiliano José Graziano da Silva, che sostituirà ufficialmente dal 1 agosto per i prossimi quattro anni.
Qu Dongyu of China elected @FAO Director-General today.
— FAO Newsroom (@FAOnews) June 23, 2019
Qu Dongyu will be @FAO‘s ninth Director-General. He will succeed @grazianodasilva as of 1 August 2019 👉🏼https://t.co/ksUzFFilK6
#FAOConference #ZeroHunger pic.twitter.com/i2S9RPEqea
Qu Dongyu è un biologo di formazione, come ricorda l’agenzia Agi, ha lavorato per trent’anni nel settore agricolo e alimentare, nello sviluppo di tecnologie digitali per l’agricoltura e le aree rurali, dove ha anche introdotto il microcredito.
Nel pieno della guerra commerciale con gli Stati Uniti, il governo cinese nell’ultimo periodo ha dovuto far fronte da mercati esteri per rifornirsi di cereali e soia, portando il tema dell’alimentazione in cima alle priorità della sua agenda.
Pechino aspira: «Sempre più a posizioni di responsabilità» all’interno dell’Onu, ha spiegato Richard Gowan, analista di CrisisGroup, un centro di analisi degli affari internazionali non governativi. Nei mesi scorsi, Pechino ha intensificato gli sforzi diplomatici mettendo spesso mano al portafogli soprattutto per aggiudicarsi il sostegno degli stati africani.
Pechino aveva ottenuto una prima vittoria con il ritiro a marzo del candidato camerunense, Medi Moungui. Secondo un diplomatico, la Cina avrebbe pagato un debito di circa 70 milioni di dollari (62 milioni di euro) in cambio. Pressioni intense sarebbero state fatte anche nei confronti di Paesi sudamericani: il Brasile e l’Uruguay, secondo fonti diplomatiche citate da Le Monde, sono stati minacciati «con il bando delle loro esportazioni agricole verso la Cina se questi due paesi non avessero dato il loro voto».