Turchia, dopo la sconfitta a Istanbul la minaccia per Erdoğan arriva dall’interno
Da Osaka Recep Tayyip Erdoğan ha voluto precisare: «In Turchia comando ancora io». Ma la scorsa domenica Istanbul, la città di cui era stato sindaco per quattro anni, dal 1994 al 1998, gli ha restituito una pesante sconfitta. Non una, ma ben due volte i cittadini di Istanbul hanno puntato sul candidato dell’opposizione Ekrem İmamoğlu, dopo il ritorno al voto richiesto dal leader dell’AKP per presunte irregolarità nel voto dello scorso marzo. Con il 54% dei voti l’esponente del Partito Popolare Repubblicano, il CHP, si è preso la città più grande e popolosa della Turchia.
Il candidato di Erdoğan, Binali Yıldırım, 63 anni, primo ministro per due anni prima della riforma costituzionale del 2017, non è riuscito ad ottenere la maggioranza dei consensi. Una perdita, che assieme a quella di Ankara e Izmir, segna una delle sconfitte più importanti e significative del lungo corso dell’AKP e del suo leader.
Negli ultimi 25 anni il Sultano e i suoi alleati del Partito di Giustizia e Sviluppo hanno governato Istanbul. Ma purtroppo per Erdoğan e Yıldırım, nonostante la città abbia conosciuto una grande crescita nel corso dell’ultima decade, l’attuale recessione e la profonda crisi economica hanno portato la popolazione a puntare il dito contro l’amministrazione dell’AKP.
Il declino dell’AKP?
Un primo segnale che le fortune dell’AKP stavano iniziando a scricchiolare è arrivato a marzo. İmamoğlu ha trionfato, anche se con un margine di vittoria inferiore all’1%. Settimane dopo, Erdoğan, Yıldırım e funzionari del partito avevano sostenuto che alcune irregolarità avessero falsificato il processo elettorale, portando il Consiglio elettorale supremo ad annullare il voto.
L’opposizione interna
Ora Erdoğan deve affrontare un possibile rimescolamento dei ruoli di potere all’interno dell’AKP. Un’ombra con cui Erdoğan convive già da qualche tempo. L’ex sindaco di Istanbul una volta esercitava il totale controllo sul Partito Giustizia e Sviluppo, ma ora deve convivere con una resistenza crescente all’interno dello stesso AKP e della sua ampia coalizione.
Complice la profonda crisi economica, il malcontento è sempre più diffuso e il primo imputato è Berat Albayrak, ministro delle Finanze e del Tesoro, e genero influente del presidente. In un rimprovero ad Albayrak, l’ex ministro delle Finanze Ali Babacan ha fatto sapere che sta elaborando nuove proposte di politica economica per arrestare la caduta dell’economia. Critici nei confronti dell’operato del presidente turco anche altri veterani dell’AKP, tra cui l’ex presidente Abdullah Gül e l’ex ministro degli Esteri Ahmet Davutoğlu.
Il pericolo nazionalista
Ma per Erdogan il pericolo potrebbe venire da dentro l’alleanza di governo, quella con gli ultra nazionalisti del Partito del Movimento Nazionalista, il MHP. Dal 2005 il presidente turco si è affidato sempre più al sostegno del suo leader, Devlet Bahçeli, per rimanere al comando. Quest’ultimo ha spinto per una revisione della politica estera in toni più aggressivi nei confronti dell’Occidente. Erdoğan ha provato a cavalcare l’onda nazionalista ma quell’onda potrebbe essere ora pronta a travolgerlo. La vittoria di İmamoğlu costituisce per Erdoğan una minaccia esistenziale, e potrebbe portare decine di parlamentari dell’AKP a voltare le spalle al Sultano per formare un nuovo partito di centrodestra. Una leadership politica che, dopo la sonora sconfitta, e la disastrosa situazione economica potrebbe cominciare a mettere in discussione i vantaggi e le conseguenza di quell’accentramento del potere, a seguito del referendum costituzionale, che ha messo il Rais sempre più ai vertici della politica turca.