La verità sui presunti danni del «Clorpirifos» al cervello dei bambini – Fact checking
In un articolo comparso nell’inserto ecologista «ExtraTerrestre» de Il Manifesto del 27 giugno 2019 si parla di «chlorpyrifos», un insetticida prodotto dalla multinazionale Dow Chemical e definito «fratello cattivo del glifosato», che provocherebbe danni nello sviluppo cerebrale dei bambini.
Entro il 31 gennaio 2019 la Commissione europea doveva decidere se prolungare l’autorizzazione all’impiego nell’Ue. L’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) ne avrebbe accertato la sicurezza per la salute delle persone.
Come ha spiegato l’Efsa a Open, la data è stata posticipata al 31 gennaio 2020, su decisione della Commissione – come previsto dal suo regolamento – «per consentire la peer review dell’Efsa e il successivo processo decisionale da completare entro tale data».
I lavori sono dunque ancora in corso e non è nota una data certa per conoscere la decisione ufficiale dell’Istituto europeo.
Di cosa è accusato l’insetticida
Il chlorpyrifos (clorpirifos in italiano) viene presentato come uno dei 15 pesticidi «più utilizzati negli alimenti non trasformati» il cui uso è autorizzato nell’Unione europea. Questa sostanza sarebbe presente soprattutto negli agrumi (in un pompelmo su tre; nel 36% dei limoni; in un’arancia su quattro).
Secondo l’oncologa Patrizia Gentilini dell’Associazione «Medici per l’ambiente» intervistata nell’articolo, anche dosi «infinitesimali» possono causare problemi nello sviluppo del cervello dei bambini.
Inoltre, studi condotti su cavie da laboratorio avrebbero riscontrato un aumento dei disturbi «cognitivi, dello spettro autistico e dell’attenzione», a cui si aggiungono «alterazioni di tipo relazionale» e «comportamenti aggressivi».
Altri disturbi di cui – secondo l’articolo – si sarebbero lamentati non meglio identificati «scienziati indipendenti» e non meglio citati «studi scientifici», riguardano alterazioni dell’equilibrio ormonale e effetti al «microbiota intestinale».
Secondo Gentilini «ci sono studi molto accurati che mettono in relazione la degradazione del microbiota con l’emergere di patologie dello spettro autistico».
A questo punto, dovremmo chiederci come mai non abbiamo notizie di studi che riportano una ecatombe di bimbi affetti da autismo e altri disturbi, collegati al consumo di agrumi in Europa.
Stando a quanto afferma Gentilini alla fine dell’articolo, non ci sono dubbi: «Non stupisce che le multinazionali facciano quanto in loro potere per aumentare i propri profitti». Ma a quanto pare remano contro anche buona parte degli oncologi:
«La causa di tutto al di là di quello che dicono molti miei colleghi oncologi che non vedono oltre il proprio naso, è nell’ambiente». L’oncologa indica però una possibile soluzione per proteggerci: «mangiare biologico».
Fact checking delle principali affermazioni
Abbiamo tanta carne al fuoco, cerchiamo di fare un po’ di chiarezza esaminando le affermazioni riportate nell’articolo-intervista apparso sull’inserto ecologista de Il Manifesto.
Chi sono gli attori che chiedono il bando del chlorpyrifos
Le principali accuse partono da un report curato dalle associazioni ambientaliste Health and Environment Alliance, Pan Europe, Pan Germany e SumOfUs. Quest’ultima ospita una petizione aperta nel 2018 (#BanChlorpyrifos) che ha superato le 210 mila firme.
Si tratta di organizzazioni no-profit e Ong, ragione per cui non possiamo basarci solo sui loro report, non avendo la stessa valenza degli studi scientifici sottoposti a revisione da parte di esperti.
Correlazione tra ingestione di alimenti «contaminati» e patologie neurologiche nei bambini
Il report è dell’agosto 2018 e, come si legge nell’introduzione, auspicava la decisione sull’autorizzazione della sostanza, prevista per il 31 gennaio scorso da parte della Commissione europea.
«I residui di Chlorpyrifos si trovano comunemente nei nostri frutti, vegetali, cereali e latticini e nella nostra acqua potabile. La sua attuale autorizzazione è destinata a scadere il 31 gennaio 2019. Qualora l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA) emetta un parere positivo e la Commissione europea presenti una proposta su tale base, gli Stati membri europei possono decidere di rinnovare la sostanza».
Qual è stato allora l’atteso verdetto? Esisteva già una revisione sistematica pubblicata dall’Efsa nel 2014 sugli studi riguardanti i presunti effetti nocivi dell’insetticida, concludendo che sono state trovate dosi superiori ai limiti solo nell’uva. In generale il maggiore pericolo riguarda i lavoratori del settore nel caso venisse inalata la sostanza.
Cosa mostrano i dati più recenti
In un più recente «summary report» riferito al 2017 e pubblicato nel maggio scorso, l’Efsa non sembra cambiare significativamente il suo orientamento. Il problema della tossicità dell’insetticida non riguarda infatti l’ingestione della sostanza, come spiega a Open il chimico esperto in decontaminazione ambientale Gabriele Sbrighi:
«L’analisi preliminare di questo rapporto annuale mostra come, nei vari paesi dell’Ue, si sia preso in considerazione e sia monitorato a cadenza trimestrale il residuo di pesticidi sui prodotti agricoli, lavorati e d’origine animale in tutti i paesi dell’unione».
«Analizzando i singoli paesi membri – continua Sbrighi – si può notare come a fronte di un’omogeneità nel numero dei prelievi, fatti dagli organismi preposti, di 1800 – 2200 campionamenti; si riscontri un’altrettanta omogeneità nelle “non compliance” (non conformità) riscontrate, che si assesta su un 1,25 – 1,6% di scostamento da quanto impongono le norme comunitarie, sforando di fatto la Mrl (Dose massima ammessa), imputabile nel 70% dei casi alla provenienza dei prodotti da paesi Extra Ue».
«In un 12% dalla cosiddetta “cross-contamination”, ossia la contaminazione della sostanza trasportata dal vento da altri campi nelle vicinanze, nel 18% dall’utilizzo in maniera “impropria” (concentrazioni non corrette) di sostante approvate dalla stessa Ue».
Questi dati non ci comunicano uno stato di allarme, bensì che sussiste un costante controllo da parte delle Autorità competenti. Infatti il chimico fa notare che «per tutte le non compliance sono, comunque, state aperte azioni correttive dai singoli paesi, che vanno dal sequestro delle derrate alle multe, fino in alcuni casi di reiterazione al processo, presso le corti nazionali di giustizia del paese in cui è avvenuto il misfatto».
«Per quanto riguarda il chlorpyrifos – conclude Sbrighi – solo in 3 paesi Ue si sono riscontrati due sforamenti ciascuno di tale pesticida, per tutti questi casi i prodotti incriminati sono stati bloccati prima di arrivare alla distribuzione, provenendo da paesi Extra Ue: dell’estremo oriente».
Gli studi più attendibili sono correlativi, basati soprattutto sugli animali
Vanessa Schipani pubblicò nell’aprile 2017 su uno dei più importanti siti di debunking, Factcheck.org, una revisione delle tesi pro e contro l’insetticida, con la seguente conclusione:
«Alcuni studi, per esempio, suggeriscono che l’esposizione al chlorpyrifos possa portare a problemi di sviluppo nei bambini, ma sono studi di correlazione, nel senso che non forniscono collegamenti causali. Tuttavia, la ricerca sui roditori ha trovato legami causali tra chlorpyrifos e problemi di sviluppo».
Il nocciolo della questione è che la pericolosità riguarda l’inalazione del chlorpyrifos, visto che si tratta di un composto chimico che contiene cloro.
«Il problema dei composti di cloro non è l’ingestione, ma l’inalazione – spiega Sbrighi – come per il gas di Yprite (composto del cloro). Il cloro stesso reagisce con le mucose di occhi e polmoni trasformandosi in acido cloridrico. L’acido cloridrico lo abbiamo già nello stomaco (i succhi gastrici sono assimilabili a esso)».
Microbiota intestinale e autismo
Sui collegamenti con l’autismo Sbrighi è ancor più perplesso: «Mi devono spiegare come una sostanza possa causare un problema genetico, come l’autismo, dopo la formazione del feto».
Sul tema è stata pubblicata nel gennaio scorso una analisi sistematica su Nature – Translational Psychiatry. Vengono presi in esame numerosi studi di qualità sul ruolo che potrebbe creare il microbiota intestinale nell’aggravare alcuni sintomi dell’autismo, nulla invece a riguardo delle cause, come gli autori dell’articolo mettono subito in chiaro:
«Allo stato attuale, la fisiopatologia del disturbo dello spettro autistico (ASD) rimane poco chiara. Prove crescenti hanno suggerito che il microbiota intestinale giochi un ruolo critico nei sintomi gastrointestinali e nella compromissione comportamentale nei pazienti».
Detta in maniera molto semplice: se durante la pioggia vediamo tanti ombrelli, questo non significa che uscendo di casa con l’ombrello provocheremo la pioggia.
Esiste uno studio recente che suggerirebbe una correlazione tra microbioma e autismo, ma con esperimenti condotti sui topi, anche in questo caso però gli autori spiegano che un collegamento causale non è dimostrato:
«Oltre ai rischi genetici, il microbioma dell’intestino si differenzia tra individui in via di sviluppo […] sebbene non sia chiaro se il microbioma contribuisca ai sintomi».