Scandalo affidi a Reggio Emilia, le intercettazioni choc: come manipolavano i bambini
Sono iniziati nella mattinata di oggi, venerdì 28 giugno, gli interrogatori di garanzia dell’operazione ‘Angeli e Demoni’ sul presunto giro di affidamenti illeciti di bambini nella provincia di Reggio Emilia.
Davanti al Giudice per le indagini preliminari Luca Ramponi, Federica Anghinolfi, dirigente dei servizi sociali dell’Unione dei Comuni della Val d’Enza, considerata dagli inquirenti figura chiave del ‘sistema’ e l’assistente sociale Francesco Monopoli, entrambi agli arresti domiciliari e accusati di aver praticato il «lavaggio del cervello» ai bambini coinvolti attraverso diverse metodologie.
«Mi sono occupato di fatti molto provanti di ‘Ndrangheta per dieci anni, ma quest’inchiesta è umanamente devastante», dice il procuratore capo di Reggio Emilia, Marco Mescolini. «Per la velocità con cui tutto è emerso, restituisce un quadro assai allarmante. Ma conta il giudizio della legge». Il capo dei pm reggiani aggiunge che «è stato sequestrato altro materiale ora al vaglio degli investigatori. Le indagini proseguiranno e nulla sarà intentato».
Le intercettazioni ambientali
Il quadro che emerge dalle intercettazioni è oltre l’immaginazione. In una intercettazione di una seduta di psicoterapia, per esempio, si consiglia al bambino di organizzare il funerale del padre da cui il bimbo è stato allontanato, «per elaborare il lutto».
Poi c’è la storia di una bimba, riportata dalla Gazzetta di Reggio. Non capisce, e lo ripete, perché non può vedere i genitori. Li vuole vedere, le mancano «gli abbracci di papà». Ma le psicologhe, le assistenti sociali, la coppia affidataria la incalzano. Con domande, dubbi, ribaltando le parole della bambina.
«Ma io non mi ricordo perché non li posso più vedere», dice la piccola, secondo la ricostruzione della Gazzetta di Reggio in base a un’intercettazione ambientale dell’ottobre dell’anno scorso. «Ma non ti ricordi che hai detto che (papà) non lo volevi più rivedere?», dice la psicologa. «Non ho detto questo», risponde la bimba. «Non ho detto che non volevo vederlo». «Sì, hai detto che non volevi vederlo perché avevi paura che ti facesse del male… che si potesse vendicare… o che ti potesse portare via. Ti ricordi la paura che hai sentito. Te la ricordi adesso?», dice la donna che l’ha avuta in affidamento. «Quello che tu dirai al giudice il tuo papà non lo saprà, neanche la tua mamma», ricorda la psicologa. «Forse sono io che mi ricordo male, ma quando ti hanno detto che non avresti più visto il tuo papà tu eri contenta, te lo ricordi?», dice una terapeuta. «Non mi ricordo di aver detto così». «Guarda che non c’è niente di male! Perché se tu hai vissuto una situazione che ti hanno fatto stare tanto male… d’accordo, tu come bimba puoi dirlo che stai proprio male e che non hai voglia di star male così», incalza l’affidataria. «Non è che se tu hai detto che stavi tanto male e non volevi più vederlo sei una brutta bambina». Poi la domanda della psicoterapeuta: «Vorresti incontrarli?». «Mi piacerebbe. Ogni tanto mi capita di piangere perché mi mancano gli abbracci del papà», risponde la bambina.
La “Carta di Noto”
Dialoghi agghiaccianti, ma non sono i soli. La ‘Carta di Noto’, cioè il protocollo con le linee guida deontologiche per lo psicologo forense, quando si trova di fronte ad abusi su minori, viene definita nelle intercettazioni da uno degli indagati «una roba scritta da quattro pedofili». A parlare è Matteo Mossini, psicologo dell’Asl di Montecchio cui è stato vietato di esercitare l’attività professionale per sei mesi, in un dialogo con la psicoterapeuta Nadia Bolognini, ai domiciliari.
Nel valutare la sua posizione, il Gip parla di «disprezzo per i metodi comunemente adottati di valutazione e audizione nonché di approccio terapeutico con i minori sospette vittime di abusi».
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