Albania al voto in un clima di paura. Il Premier: «Non si negozia la democrazia con le molotov» – Il reportage
Delle manifestazioni e proteste degli ultimi mesi non sembra esserci alcuna traccia nel centro di Tirana, capitale dell’Albania mentre il Paese si prepara a votare nelle controverse elezioni locali di oggi, 30 giugno. Le molotov, gli scontri con la polizia e le cariche non hanno lasciato segni visibili fuori dal parlamento e, soprattutto, nei dintorni degli uffici del premier socialista Edi Rama.
Le guardie sono al loro posto, la loro presenza visibile ma non ingombrante, il giardino fuori dagli uffici del Premier è sgombro ma ordinato, in fondo luccica sotto al sole a picco la piramide di Tirana. Ai tempi del ‘faraone’ comunista Enver Hoxha ospitava il parlamento, ma adesso riposa come un vulcano dormiente.
L’intervista al Premier Edi Rama
Le elezioni amministrative avranno luogo come previsto il 30 giugno?
«Sicuramente andranno avanti perché è la data prevista dalla Costituzione e non si può che andare avanti»
Come mai ha deciso di insistere affinché si facessero adesso? Perché non posticiparle?
«Perché posticiparle? Le elezioni non sono alla discrezione dei partiti, sono il diritto del popolo a scegliere tra i partiti. Se i partiti non sono pronti a partecipare alle elezioni, questo non è un Paese della gente ma dei partiti. Se poi sotto la pressione dei partiti, le elezioni venissero posticipate, sarebbe un precedente assurdo e dannoso»
Alla vigilia del voto a lei il Paese sembra tranquillo?
«Il Paese è sempre stato tranquillo. C’è stata una mobilitazione di un gruppo di partiti con gli attivisti e degli impiegati nei comuni governati da loro (opposizione) e tutto è successo in un perimetro di un poco più di un chilometro. Il Paese sicuramente ha dei problemi, non è che gli albanesi vivono in un campo di fiori, ma sicuramente ci sono altre priorità. Siamo una democrazia ancora giovane, in crescita, ma comunque senza la maturità necessaria da lasciar perdere con questi giochetti che hanno caratterizzato un passaggio doloroso da un regime assurdo e criminale che ha isolato l’Albania trasformandolo nella Nord corea dell’Europa per cinquant’anni verso un Paese che deve affermarsi come un membro dell’Unione europea»
Eppure il Consiglio d’Europa ha ritirato la sua missione di osservazione
«È un’organizzazione all’interno del Consiglio d’Europa, e poi non è chiaro, il punto è che non c’è niente che getta un’ombra sul processo. Quì c’è l’Ocse per esempio»
Cosa esattamente si aspetta il Paese?
«L’Albania ha bisogno che vada avanti la riforma della giustizia che abbiamo intrapreso. Ha bisogno di continuare a crescere economicamente, di più lavoro – abbiamo creato più della metà dei posti di lavoro in tutti gli Balcani nell’anno scorso – ma non basta. I salari sono ancora bassi, il costo della vita cresce, il Paese ha bisogno di più certezza per i suoi ragazzi, una riforma di tutto il sistema dell’educazione, di investimenti specialmente nel turismo ma anche infrastrutture. Non è possibile stare a scherzare con le molotov per negoziare la democrazia mentre c’è tutto questo da fare»
Come descriverebbe il suo rapporto con il Presidente della Repubblica Ilir Meta?
«È una relazione con alti e bassi, con momenti positivi e altri negativi, purtroppo lui si è prestato a giochetti politici. Si trova in una situazione di un certo imbarazzo perché sua moglie è capo di un partito di opposizione. È una situazione particolare in un Paese che, come dicevo, è una democrazia giovane, non ancora solida e matura»
Il suo rapporto con il leader dell’opposizione Luizim Basha?
«È un rapporto tipicamente italiano»
In che senso?
«Tra una persona che Governa e un’altra che fa il leader dell’opposizione»
Quando Berisha indirizzò nei suoi confronti una serie di accuse piuttosto pesanti, lei le fece stampare su dei teli ed esporre fuori dal suo ufficio. Oggi viene accusato di corruzione e anche di collusione con la criminalità organizzata: come risponderà?
«Io cerco di non rispondere perché viviamo in una civiltà che da più di mille anni ha deciso di dare la responsabilità della prova all’accusa non all’accusato. Non avendo prove, con loro non è difficile vincere. È un male per tutti, anche per il Governo: a me piacerebbe avere un’opposizione molto più sfidante, questa quà è semplicemente sfigata»
Esclude che ci possano essere nuove elezioni a breve?
«L’Albania ha votato due anni fa, noi abbiamo una maggioranza assoluta, abbiamo un programma e tante cose da fare. L’opposizione ha deciso di uscire di scena, rifiutando i mandati parlamentari, per provare sulla strada. Non sta a noi a fare né i loro psicoterapeuti né i loro babysitter. È tutta una protesta di un vecchio establishment che cerca una rivincita: non è una rivolta del popolo. Loro sono stati dal primo momento contro la riforma della giustizia»
Ci sono anche gli studenti che hanno iniziato a manifestare nel dicembre del 2018. Alcuni di loro chiedono di rivedere la legge elettorale
«So che c’è stata una protesta molto grande, molto bella degli studenti alla fine dell’anno scorso. Noi abbiamo parlato – come sempre facciamo con le proteste di alcune categorie della società – e siamo usciti fuori con un nostro programma, un patto per l’università»
Recentemente si è incontrato con Jean-Claude Juncker per parlare delle elezioni ma anche del processo di adesione dell’Albania all’Ue: quanto dovrà aspettare l’Albania prima che partiranno i colloqui, inizialmente previsti per giugno di quest’anno?
«Non sta all’Albania fare queste previsioni. Come sappiamo l’Ue è sempre più imprevedibili. Per la seconda volta abbiamo una raccomandazione netta affinché l’Albania apra i negoziati. A livello oggettivo abbiamo fatto la nostra. In Europa c’è però anche un livello soggettivo: ci sono Paesi molto più propensi ad allargare, altri meno»
Tra questi ci sarebbe la Francia.
«La Francia è in un momento particolare, con un Presidente che ha una sua idea dell’Europa. Io condivido la sua idea – “Bisogna riformare prima di allargare” – ma, aggiungerei: bisogna anche riformarsi. L’Europa deve riformare se stessa e i Balcani centrali faranno lo stesso. Detto questo, aprire i negoziati non vuol dire automaticamente diventare membri»
Tra i vari paletti dell’Ue crede che ce ne siano alcuni di natura migratoria?
«Si, sicuramente. Combattere l’immigrazione illegale è chiaramente necessario. Ma dall’altra parte quando si parla di Balcani occidentali, non sono in tanti gli uffici europei a sapere che questa regione è circondata da frontiere che sono dell’Ue. È un organo del corpo europeo: tagliarlo non è possibile, non integrarlo è possibile ma si rischiano dei malori. Ci sarà una ragione che due Guerre mondiali sono scoppiate in quest’area, anche se non voglio dire che la terza scoppierà nei Balcani»
A proposito della questione migratoria, come valuta la politica dei ‘porti chiusi’ dell’Italia?
«Io credo che la politica dei porti chiusi sia una reazione: si può discutere sul ‘come’ ma il perché è chiaro. L’Italia non è stata soltanto lasciata sola, è stata umiliata. Io lo posso ricordare: noi albanesi siamo stati gli eritrei di 30 anni fa. L’accoglienza è stata incredibile. Ma quello spirito è andato svanendo a causa del cinismo dell’Europa»
Segue con attenzione la politica italiana?
«L’Italia è il Nord, l’Albania è il mezzogiorno. Noi viviamo l’Italia come parte dell’Albania. La radio e la televisione italiana erano le uniche vie per connettersi per un al di là rispetto a quello che c’era quì, ovvero il comunismo»
Come sono i suoi rapporti con la sinistra italiana e con Nicola Zingaretti?
«Mai dal 1990, quando l’Albania si è aperta, le relazioni tra Italia e Albania sono state influenzate dai colori dei rispettivi governi. Con Matteo Renzi siamo amici, credo. Avrei voluto che andasse meglio per lui, ma non cambia né la mia stima né la mia amicizia. Sono fiero di poter contare sull’amicizia di Massimo D’Alema. Ma ho avuto modo di essere in contatto con Silvio Berlusconi anche dopo [la fine del suo mandato da Premier ndr]»
Come valuta lo stato di salute del socialismo in Europa oggi?
«Esiste? A me risulta che non esiste. Mi risulta che i partiti socialisti – ed io sono fiero di essere il leader di un partito socialista che vince – non possono essere più dei partiti ideologici. Si tratta di idee e di valori e basta. Non ci sono soluzioni di destra o di sinistra, ci sono soluzioni che funzionano o che non funzionano. È molto facile sparare a zero su Salvini, oggi. Bisogna chiedersi: funziona? Poi, ovviamente, i modi sono un’altra questione. Noi in Albania viviamo un po’ come la politica italiana: tanta passione per ‘uccidere’ il messaggero, molta meno passione per il messaggio»
Lei ha iniziato in politica da giovane. Come le appaiono i giovani albanesi oggi?
«Quando ero quel giovane e dovevo ascoltare i miei genitori dicevo a me stesso, “Devi promettere a te stesso che non farai mai quello che loro stanno facendo a te. Lascia ai giovani comportarsi da giovani.” Poi, è sempre stato così, non è cambiato granché. Tranne che con i social media. Noi abbiamo un detto in albanese, che prima di Facebook “lo stupido era conosciuto soltanto a casa sua”»
Lei spera che in questa nuova generazione albanese ci sia un suo erede?
«Credo che ognuno abbia il proprio destino. Il mio è stato molto particolare. Sono molto grato. Ma il mio destino è legato a un periodo storico in cui Paesi ex comunisti sono usciti dal buio in cui molti scrittori, poeti, artisti si sono prestati alla politica. Adesso sono un dinosauro. Gli altri o sono andati via, o hanno fallito, qualcuno ha fatto la storia ma non c’è più. Quello che io non vorrei vedere in Albania è una forza anti-politica che cerca di spaccare tutto e poi si sfascia strada facendo creando un vuoto tremendo dopo una speranza enorme»
Uno dei suoi primi atti da giovane ministro fu inaugurare un cinema. All’epoca disse che un cinema può garantire la sicurezza meglio di cento poliziotti. Ci crede ancora?
«Io credo che la cultura è molto più forte politicamente di quanto si creda. All’epoca era una situazione in cui l’Albania stava veramente male e io dicevo che se vogliamo più sicurezza dobbiamo aprire più cinema, fare più illuminazione, aumentare la qualità dello spazio pubblico, dobbiamo credere al bello, perché il bello ha un potere straordinario e intimidisce molto di più del brutto e della repressione dello Stato»
Quale è stato il periodo politico più difficile nella sua vita?
«Forse quando abbiamo perso le elezioni. Era difficilissimo. Ma è stato necessario, ci ha aiutato a capire e a correggere»
Invece quello più entusiasmante?
«Io non farei questo lavoro se non fosse entusiasmante. Non sono cresciuto nel partito e non voglio invecchiare come saggio del partito. Sono un cittadino prestato alla politica – non oserei dire un’artista prestato alla politica – vengo dal mondo dell’arte, vorrei ritornare in un altro mondo dove c’è arte e dove la politica non è un esercizio di ogni giorno ma che fa parte del giorno. Non so cosa sarà, ma vorrei concentrarmi soltanto sul bello. Quando sei in questo ufficio non puoi, perché devi accettare che c’è anche il brutto, soprattutto il brutto con il quale deve confrontarti»
Lei come vorrebbe essere ricordato?
«Mio padre mi disse che non c’è niente di più importante che lasciare un bel ricordo. Io vorrei lasciare un bel ricordo»
-r.lib
Il terreno però ha ripreso a tremare. Le prime scosse risalgono a dicembre 2018 quando centinaia di studenti hanno marciato all’insegna di uno slogan – ‘Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa un dovere’ – per protestare contro l’aumento dei costi universitari.
Alcuni di loro, come Arlind Qori, docente di filosofia politica all’Università di Tirana e uno dei volti delle proteste, hanno rispolverato vecchie idee di giustizia sociale sotto la nuova veste dell’associativismo dal basso. Vogliono non soltanto rottamare la classe politica, ma cambiare l’assetto socio-economico della società. Per altri invece l’obiettivo è ripulire le istituzioni. Tutti però sono uniti nella volontà di segnare una discontinuità con il vecchio establishment, ritenuto espressione di un sistema oligarchico.
Negli ultimi mesi l’opposizione, in particolare il Partito democratico (di centrodestra, non come il Pd nostrano) guidato dal Luizim Basha, ha cavalcato le proteste studentesche, nonostante si tratti di un partito che di nuovo ha ben poco. Forzando lo scontro con Edi Rama l’opposizione spera di provocare una crisi di Governo come avvenne nel 2017 e di far nominare un governo di transizione che possa traghettare il Paese a nuove elezioni.
Il 18 febbraio 2019, 43 deputati dell’opposizione – composta anche dal Partito Socialista per l’Integrazione di Monika Kryemadhi, moglie del presidente della Repubblica albanese Ilir Meta – si sono dimessi dalle loro cariche parlamentari, lasciando il parlamento vuoto per circa un terzo. Poi sono partite le manifestazioni, alcune pacifiche, altre invece violente.
Le accuse nei confronti di Rama sono di diverso genere, ma ruotano attorno alla presunta compravendita di voti e atti di intimidazione di elettori durante le elezioni locali del 2016. Anche Basha non è del tutto immune da punto di vista giudiziario: il 10 giugno è stato chiamato a rispondere a delle accuse di pagamenti che sarebbero stati fatti dal suo partito a una società di lobbying americana, Muzin Capitol Partners.
Tra Basha e Rama esiste una rivalità che va al di là dell’attuale crisi politica. Dopo essere stato Ministro della cultura nel Governo dell’ex premier socialista Ilir Meta, Rama diventò Sindaco della città di Tirana, una posizione che ricoprì per ben undici anni, periodo in cui aggiunse anche la carica di Presidente del partito socialista d’Albania.
In quegli anni Rama passò dall’essere un novello politico dal passato colorato – rientrava in patria dopo anni in cui aveva lavorato come artista a Parigi – a protagonista centrale della scena politica albanese. Da Sindaco di Tirana fece affrescare le case della sua città, a due passi dal fiume Lana, di colori brillanti. Benessere materiale e benessere morale: dovevano andare mano nella mano per garantire la felicità e la sicurezza dei cittadini.
A succedergli come sindaco di Tirana fu lo stesso Basha, di formazione avvocato, che negli ultimi giorni ha sottratto il suo partito dalla gara elettorale prevista per il 30 giugno, chiedendo nuovamente le dimissioni di Rama come condizione imprescindibile per continuare a partecipare alla vita democratica del Paese.
Il 26 giugno il Presidente della Repubblica Ilir Meta, una volta mentore di Rama, in consultazione con l’opposizione ha deciso di posticiparle al 13 ottobre. Ma la Commissione elettorale – un organo indipendente ma costituito a maggioranza da socialisti – ha detto di no, dando ragione al premier.
Rama ha interrotto la campagna elettorale soltanto per commentare l’ultima decisione del Presidente Meta, definendola «una pazzia», ribadendo che le elezioni andranno avanti comunque. Nei giorni precedenti il parlamento controllato dal suo partito aveva avviato un’investigazione nei confronti di Meta per aver posticipato inizialmente le elezioni senza aver annunciato una nuova data, una mossa di cui contestavano la costituzionalità.
Le elezioni dunque avranno comunque luogo. Nella metà dei comuni – 31 su 61 – in tutto il Paese i cittadini albanesi saranno chiamati a votare per un solo candidato, socialista. Nei rimanenti comuni invece dovranno scegliere sindaci e consiglieri tra il partito di Rama e candidati indipendenti o di partiti minori.
La posta in gioco non è semplicemente il futuro di Edi Rama o del partito democratico, ma anche dell’integrazione dell’Albania – un Paese di circa 3 milioni e mezzo di persone cresciuto su una ricca dieta di televisione italiana – nell’Unione europea. A fine giugno dovevano partire i colloqui per avviare il processo di adesione, ma sono stati rimandati. L’ago della bilancia oggi come in passato è la salute delle sue istituzioni democratiche.
La delegazione europea si è espressa a favore delle elezioni, in nome del diritto di voto dei cittadini albanesi, come del resto aveva fatto anche Jean-Claude Juncker durante il suo incontro con Rama a Bruxelles. Il 26 giugno, nel suo ufficio adornato da una carta da parati pirotecnica, il Premier aveva sminuito le proteste – «Non è una rivolta del popolo» – e rassicurato sul futuro del suo esecutivo, dichiarando che sarebbero arrivati a fine mandato. Sul suo futuro dopo la politica – tanto auspicato dall’opposizione – era stato vago ma ottimista: «Non so cosa sarà, ma vorrei concentrarmi soltanto sul bello».
Con il contributo video e editoriale di Henry Albert.