Il Gip smonta il decreto sicurezza bis. Cosa dice l’ordinanza su Carola Rackete
Il giudice delle indagini preliminari ha accolto le tesi difensive degli avvocati di Carola Rackete, il comandante della Sea Watch 3 che da ieri sera – 2 luglio – non è più agli arresti domiciliari anche se deve rimanere a disposizione dei magistrati.
Bisogna esaminare i fatti contestati alla 31enne tedesca, «alla luce di ciò che li precede, ossia il soccorso in mare e gli obblighi che ne scaturiscono» scrive il Gip di Agrigento Alessandra Vella che si richiama alle normative internazionali di natura «sovraordinata» rispetto alle direttive ministeriali italiane. Rispetto anche al decreto sicurezza bis voluto da Matteo Salvini, che ha fortemente contestato la decisione del giudice.
Secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos) il comandante di una nave deve prestare assistenza «a chiunque si trovi in pericolo in mare nonché recarsi il più presto possibile in soccorso delle persone in difficoltà qualora venga informato che tali persone abbiano bisogno di assistenza».
A questa si aggiunge la convenzione Sar (Search & Rescue) secondo cui i poteri-doveri di intervento da parte di un singolo Stato nell’area di competenza «non escludono che unità navali di diversa bandiera possano iniziare il soccorso allorquando lo richieda l’imminenza del pericolo per le vite umane».
La scelta di dirigere la nave verso Lampedusa non è stata considerata strumentale ma obbligata: i porti della Libia e della Tunisia non sono ritenuti sicuri. In particolare su quest’ultimo il giudice osserva: «La Tunisia non prevede una normativa a tutela dei rifugiati quanto al diritto di asilo politico».
Nelle 13 pagine dell’ordinanza si torna alla notte del 29 giugno, quando Carola Rackete ha acceso i motori dell’imbarcazione della Ong tedesca (all’1.15) e si è diretta verso il porto commerciale di Lampedusa. All’1.40 una motovedetta della Guardia di Finanza si era diretta verso la banchina commerciale per impedire l’attracco della Sea Watch. All’1.45 la collisione: l’episodio che secondo l’accusa era stato un «atto fatto con volontà e coscienza. Una manovra azzardata».
Per il comandante della Sea Watch 3 sono dunque cadute le accuse di resistenza a pubblico ufficiale, perché l’indagata – scrive il Gip – avrebbe agito in adempimento di un dovere di soccorso che «non si esaurisce nella mera presa a bordo dei naufraghi, ma nella loro conduzione fino al più volte citato porto sicuro».
Non c’è stata neppure resistenza a nave da guerra, come invece aveva contestato la procura di Agrigento, che valuterà se ricorrere in appello: «Le unità navali della Guardia di Finanza sono considerate navi da guerra solo quando operano fuori dalle acque territoriali ovvero in porti esteri ove non vi sia un’autorità consolare».
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