Gli anatemi di Salvini sui giudici, e i silenzi del Quirinale e del Movimento
Non mi sorprendono le durissime parole di Salvini sull’operato della magistratura dopo la decisione del Gip di Agrigento, in un crescendo dai social fino all’aula di Montecitorio. La scelta politica e la tecnica comunicativa del ministro dell’interno sono ormai collaudate: assertività assoluta, dileggio e denuncia di chi opera in senso opposto.
Alla giudice per le indagini preliminari di Agrigento dopotutto è stato riservato lo stesso calco di risposta dato al governatore della banca d’Italia, all’ex presidente dell’Inps o perfino al ragazzino Rami: se vuol fare politica si candidi con l’opposizione e poi provi a far passare le sue idee. È quella linea estrema di contestazione dei magistrati usata da un quarto di secolo da Silvio Berlusconi, che per dieci anni la espresse da palazzo Chigi.
Salvini è più ideologico, perché l’ex leader del centrodestra esprimeva dileggio e sparava accuse verso i giudici per fatto personale, essendone indagato e inquisito. E se la prendeva solo con quei Pm che riservavano a lui o ai suoi la loro azione penale. Salvini usa lo schema contrario: non ha attaccato le procure dei 49 milioni o di Siri, attacca la Gip di Agrigento perché sfregia il suo teorema su Ong, scafisti e migranti.
Avversaria politica, non personale. Ma così facendo va molto al di là di quel che faceva Berlusconi, imponendo un piano comunicativo di giustizia alternativa per cui, ad esempio, la capitana Carola è comunque una criminale, comunque voleva uccidere i militari della Gdf, comunque trafficava con gli scafisti.
E da Capitano si trasforma in Arbitro, annunciandone l’espulsione. A parole, perché il ministro dell’interno può espellere un cittadino straniero (e qui per di più comunitario) solo per gravi motivi accertati e con la controfirma del magistrato competente.
Ma che importa, qui conta l’annuncio e la volontà, la linea dettata al suo popolo di riferimento, perché in realtà a Salvini una Carola in tournée per l’Italia fa ancora più comodo, per schiacciare i suoi avversari dell’opposizione su una linea in tema di accoglienza e Ong che lui (e non solo lui) considera autolesionista e ultraminoritaria.
Questo è lo schema Salvini, e sorprendersene ogni volta vuol dire non averlo capito. Anche così è passato dall’irrilevanza del 2014 alla vittoria nelle primarie in campo su Berlusconi il 4 marzo 2018, al raddoppio delle europee di sei settimane fa.
Semmai stupisce il silenzio di Mattarella e del M5s. Il capo dello Stato è l’unica certezza della magistratura sconvolta dallo scandalo Csm, è il garante dell’equilibrio tra i poteri, ma ha anche appena dimostrato come si supporta il governo quando è giusto farlo (sul rischio di procedura europea). Può lasciar passare la “giustizia alternativa” di Salvini?
E infine i 5 stelle. Sulla giustizia inflessibile e purificatrice hanno costruito una parte notevole del loro patrimonio di seguito popolare e di consenso elettorale. Nella loro storia non sono mai stati dalla parte di un politico contro un magistrato.
Oggi il loro imbarazzo e la loro prudenza misurano la grave difficoltà che vive il Movimento, cavalcato dalla tigre leghista su questo piano inclinato anti-giudici e impossibilitato a fermare la corsa, o almeno di frenarla, per paura della crisi.
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