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Perché investire sulla termovalorizzazione potrebbe salvare Roma dall’emergenza rifiuti

06 Luglio 2019 - 21:01 Juanne Pili
Il caos dei rifiuti a Roma sembra non finire mai, mentre si parla sempre meno di termovalorizzazione

Torna l’emergenza rifiuti a Roma. Un problema ancora difficile da risolvere, correlato da episodi piuttosto gravi, come quello avvenuto recentemente nella sede Ama, con l’aggressione da parte di tre individui a volto coperto contro alcuni operatori. I tempi per la risoluzione del caos nella Capitale continuano a dilatarsi: il presidente Ama Massimo Ranieri ha recentemente affermato che occorrerà attendere fino a Natale. I problemi sono più o meno gli stessi di cui trattammo nel dicembre e nel gennaio scorso: riguardano delle criticità nella gestione degli impianti di smaltimento, incenerimento e termovalorizzazione.

Una emergenza continua

Il rogo dell’impianto di trattamento dei rifiuti Tmb Salario a Roma l’11 dicembre 2018 – chiuso nel giugno scorso – rappresentò un vero e proprio tappo in tutto il sistema di smaltimento dei rifiuti a Roma. Esisterebbe inoltre un giro d’affari attorno ai roghi e alle discariche abusive che interessa almeno tremila tonnellate di rifiuti metallici. Tutto questo venne alla luce nel gennaio scorso, dopo due anni di indagini nell’ambito della «operazione Tellus», con 57 indagati. Purtroppo non è la prima volta che la Capitale si è trovata a dover fare i conti con enormi difficoltà nel gestire i rifiuti, già in passato, durante giunte differenti, sono stati prodotti report preoccupanti a cui non sembrano essere seguiti cambiamenti consistenti. Oggi dopo altri roghi e vari comunicati, comprensibilmente allarmisti, da parte delle diverse istituzioni in gioco, comincia anche la caccia ai «super zozzoni», filmati mentre cercano di disfarsi illegalmente dei rifiuti.

In gioco non vi è solo la credibilità della giunta di Virginia Raggi – al netto di quelle delle amministrazioni precedenti – mentre a rischio vi è soprattutto la salute dei cittadini. Ai problemi di gestione si aggiunge anche un limite “strutturale”: la termovalorizzazione a Roma è di fatto ridotta a zero, sia per problemi legati a rallentamenti nella ristrutturazione di alcuni impianti, sia forse a causa di pressioni politiche. Il professor Walter Ricciardi ex presidente della III Sezione del Consiglio superiore di Sanità, spiega a Open la situazione d’emergenza in cui riversa ancora la Capitale. «C’è proprio una legge in Italia per cui i comuni – che sono i responsabili dello smaltimento dei rifiuti – devono occuparsi del ciclo. Quelli più piccoli si consorziano tra loro, ma le capitali sviluppano un loro sistema».

«La situazione nel Lazio è discreta, c’è il termovalorizzatore di San Vittore del Lazio che per altro è stato costruito non molti anni fa, mentre il problema vero è Roma: di fatto ha un circuito di smaltimento dei rifiuti primitivo». «Non ha quella tradizionale modalità di raccolta, allontanamento e smaltimento presente in tutte le grandi capitali del Mondo. Oggi Roma di fatto ha soltanto lo smaltimento in discarica, che per altro non è sufficiente». «Dopo la chiusura della discarica di Malagrotta non ci si è preoccupati di creare una alternativa. Mancano proprio le basi essenziali di un sistema moderno adatto a una capitale. Roma è come se fosse una piccola città di provincia: nel momento in cui non ha un sistema adeguato diventa una discarica a cielo aperto».

Tutt’oggi si tende a considerare inceneritori e termovalorizzatori la stessa cosa, mentre sussistono alcune importanti differenze. Eppure potrebbe rappresentare una soluzione al problema, senza che vi sia un impatto ambientale rilevante. «Il termovalorizzatore – spiega Ricciardi – ha una struttura che bruciando trasforma i rifiuti in energia con impatto ambientale di fatto pari a zero. L’inceneritore invece è qualcosa che incenerisce soltanto». «Ormai i termovalorizzatori sono arrivati alla quarta generazione, con impatto ambientale vicino allo zero, tant’è vero che le grandi capitali come Parigi, Stoccolma e soprattutto Copenhagen, si trovano in pieno centro».

Cos’è un termovalorizzatore?

Il cuore di un termovalorizzatore è il suo forno, alimentato dalla combustione dei rifiuti. Il vapore generato muove infatti delle turbine per la corrente alternata. Nell’Italia settentrionale se ne contano 28. In Toscana ne esistono ben 5, nelle restanti regioni del Meridione sono 9. Occorre tener conto del fatto che alcuni di questi impianti sono destinati allo smaltimento di rifiuti speciali, come quelli ospedalieri che richiedono trattamenti particolari. Sul territorio nazionale si è distinto l’impianto di Brescia che brucia 880mila tonnellate all’anno. 

I termovalorizzatori nell’economia dei rifiuti 

Occorre avere un’idea chiara di cosa si va a bruciare in un termovalorizzatore. I rifiuti possono certamente essere riciclati, anche se non sempre viene effettuata una raccolta differenziata vera e propria. Di fatto non riusciamo ancora ad avere un riciclo totale della nostra immondizia. Viene così prodotta energia bruciando tutti i rifiuti possibili, tenendo conto del fatto che alcuni hanno più potere calorifico di altri: ad esempio, da una buccia di banana si potrà ricavare meno calore rispetto a quanto potremmo avere dalla combustione di una bottiglia di plastica. La raccolta differenziata è funzionale anche nell’ottica di produrre dallo smaltimento il massimo potere calorifero. 

Dobbiamo tener conto dell’esigenza di smaltire grandi quantità di rifiuti che altrimenti avrebbero un impatto notevole sulla salute pubblica, oltre a favorire gli interessi delle organizzazioni criminali che lucrano nello smaltimento clandestino. Sono tutti aspetti che vanno valutati per organizzare il ciclo dei rifiuti in maniera virtuosa. Nell’ambito di una economia circolare il cosiddetto “umido” può essere reimpiegato nel compostaggio, divenendo concime da impiegare in agricoltura o nei nostri orticelli domestici, mentre tutto ciò che non possiamo riciclare finisce nel forno dell’inceneritore. 

Parliamo di biomasse e plastiche con un particolare potere calorifero. Per quanto riguarda le prime occorre tener conto del pericolo di diffondere diossine, dobbiamo quindi prestare attenzione al tipo di plastica utilizzata. I termovalorizzatori possono essere anche dei gassificatori: prendiamo le biomasse e le trasformiamo in syngas (il gas di sintesi), a sua volta impiegabile nella produzione di calore o per la realizzazione di biocarburanti. Ecco quindi che in una economia circolare – ovvero in grado di ottimizzare i suoi consumi generando nuovi prodotti ed energia – i termovalorizzatori possono svolgere una funzione di tutto rispetto. 

Le emissioni stando alle tecnologie moderne non hanno la stessa rilevanza di quelle delle nostre caldaie o del traffico cittadino. Gli ossidi di zolfo e di azoto – tra i composti più impattanti – responsabili delle piogge acide, vengono infatti filtrati impedendo loro di diffondersi. L’ideale certamente sarebbe riciclare tutto; secondo l’Epa (United States Environmental Protection Agency) si tratta del fine prioritario. Mentre i termovalorizzatori vengono considerati la soluzione meno preferibile nella piramide di metodi per lo smaltimento dei rifiuti dell’ente americano. Ma nella realtà il riciclo dei rifiuti al 100% è un traguardo ancora lontano. L’alternativa oggi resta quella di accumulare ecoballe, col rischio di incendi. L’ideale sarebbe quindi differenziare i rifiuti riciclando il possibile, mentre il resto può venire smaltito mediante i termovalorizzatori, producendo energia. 

Il problema dell’impatto ambientale

Le polveri sottili che possono venire emesse dai camini di inceneritori e termovalorizzatori sono pericolose, parliamo in particolare di Ipa (idrocarburi policiclici aromatici), questi possono indurre diverse forme di cancro. L’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ha prodotto un documento interessante in merito: 

«Come tutti i processi di combustione, il trattamento termico dei rifiuti comporta però l’emissione di sostanze inquinanti nell’ambiente; gli studi relativi all’argomento presentano i termovalorizzatori come sorgenti di gas acidi, diossine, composti organici, metalli pesanti e particolato». 

«Quest’ultimo inquinante – prosegue il report – è di fondamentale importanza poiché, soprattutto nella sua frazione fine, si rende portatore delle altre sostanze tossiche, i metalli in particolare».

Arrivano nell’aria molte meno polveri sottili di quanto possiamo avere dal traffico cittadino. Lo sappiamo bene anche perché questi impianti vengono continuamente monitorati. Prendiamo come esempio l’analisi condotta dall’Arpa Emilia Romagna delle emissioni degli impianti di incenerimento in Emilia Romagna nell’ottobre 2011:

«Un inceneritore dotato delle migliori tecnologie ad oggi disponibili ed esercito al meglio – di nuovo il richiamo alle tecnologie e alla modalità di gestione non è incidentale – emette particolato, diossine, furani, idrocarburi policiclici aromatici e metalli in misura di molto inferiore agli attuali valori limite di emissione».

Una delle principali obiezioni riguarda il fatto che comunque un termovalorizzatore produrrà sempre delle scorie inutilizzabili e potenzialmente nocive, da stoccare in sicurezza. Tuttavia il volume dei rifiuti risulterà notevolmente ridotto. Ci torna utile menzionare l’Epa:

«La conversione di materiali di rifiuto non riciclabili in elettricità e calore genera una fonte di energia rinnovabile e riduce le emissioni di carbonio compensando la necessità di energia da fonti fossili e riduce la produzione di metano dalle discariche».

«Dopo che l’energia è stata recuperata, circa il dieci per cento del volume rimane come cenere, che viene generalmente inviata a una discarica».

La priorità dovrebbe essere ottimizzare il ciclo dei rifiuti, riducendo il più possibile l’impatto ambientale. Ecco quindi che invece di un accumulo ulteriore avremmo di fatto una riduzione di sostanze nocive. «La differenza è enorme – conferma Ricciardi riguardo alla differenza di impatto tra termovalorizzatori e discariche o ecoballe – I roghi sono la cosa più terribile perché di fatto producono sostanze cancerogene, infatti tutto quello che è contenuto nei rifiuti viene bruciato – compresa la plastica – provocando il rilascio nell’aria di sostanze cancerogene, in primis la diossina». «Le ecoballe sono oscene dal punto di vista estetico e sono degli inerti che non producono niente. Quindi tutto il sistema deve essere ridisegnato: raccolta, allontanamento e smaltimento. Quando si va allo smaltimento non c’è dubbio che un termovalorizzatore di ultima generazione è qualcosa che ci dev’essere».

Foto di copertina: ANSA/MASSIMO PERCOSSI/Accumulo di rifiuti in via Cassia, Roma, 20 giugno 2019.

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