Hong Kong: il trionfo dei cortei. «Morta» la legge sull’estradizione
Dopo settimane in cui ogni week end centinaia di migliaia di persone riempivano le strade di Hong Kong. Dopo che i manifestanti hanno cercato di sfondare la porta del Parlamento. Dopo che la contestazione alla legge sull’estradizione è sfociata in pesanti scontri con la polizia, la governatrice Carrie Lam ha definito «morto» il provvedimento che aveva fatto scoccare la scintilla.
La legge in questione, promossa dal governo considerato filo-cinese, permetterebbe agli indagati di essere mandati in Cina per essere processati. Il provvedimento era percepito da molti cittadini come un ulteriore passo del governo verso una riduzione dell’autonomia di Hong Kong. Con questa legge infatti le autorità cinesi potrebbero richiamare in patria gli avversari politici.
Questa mobilitazione, la più grande dopo la contestazione del 1997, quando la sovranità di Hong Kong venne trasferita dal Regno Unito alla Repubblica Popolare cinese, aveva già spinto la Lam ad annunciare la sospensione del provvedimento. Ora, nonostante abbia pubblicamente dichiarato che il provvedimento è stato un «fallimento totale», la governatrice si ostina a non ritirarlo completamente, pur affermando che la proposta «scadrà» il prossimo luglio, al termine della legislatura.
È difficile però credere che le proteste si fermeranno dopo questa concessione da parte del governo. Le associazioni hanno criticato la scelta del termine «morta», affermando che non significa nulla, a livello legale. In più, di settimana in settimana, la rabbia dei manifestanti si è gonfiata di una moltitudine di rivendicazioni che vanno ben oltre la legge sull’estradizione. Molti chiedono le dimissioni di Lam e indagini sulle violenze della polizia. Come riassunto da Joshua Wong: «L’obiettivo finale è la democrazia».