«Venerdì ti metti in ginocchio». Cosa diceva Bellomo alle borsiste: «Controllava i social e la ceretta»
Manipolazioni, persecuzioni, ossessioni. Relazioni parallele, minacce, umiliazioni. È quanto emerge dall’ordinanza con cui la giudice per le indagini preliminari di Bari Antonella Cafaglia ha disposto gli arresti domiciliari per Francesco Bellomo, ex giudice barese del Consiglio di Stato, per i reati di maltrattamento nei confronti di tre borsiste e una ricercatrice – cui aveva imposto anche un dress code – e per estorsione aggravata ai danni di un’altra corsista.
L’ex giudice è indagato anche per i reati di calunnia e minaccia ai danni dell’attuale presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte. L’accusa risale al settembre 2017, quando Conte era vicepresidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa e presidente della commissione disciplinare chiamata a pronunciarsi su Bellomo.
Francesco Bellomo, 49 anni, docente e direttore scientifico dei corsi post-universitari per la preparazione al concorso in magistratura della Scuola di Formazione Giuridica Avanzata ‘Diritto e Scienza’, è stato sospeso nel 2017 dopo lo scandalo della scuola di preparazione per il concorso in magistratura.
Dalle indagini dei Carabinieri, relative anche al «contesto» in cui si sviluppa quanto riportato nell’ordinanza, emergerebbe un quadro di dinamiche che accomunano le quattro donne: relazioni intime con Bellomo – «in alcuni casi sovrapponibili» e un’escalation di azioni, uno schema che si ripete e che, per una di loro, porta anche al ricorso a «cure mediche».
L’ordinanza
Per Francesco Bellomo, la gip di Bari Antonella Cafagna parla di «elevata attitudine alla manipolazione psicologica mediante condotte di persuasione e svilimento della personalità della partner nonché dirette ad ottenerne il pieno asservimento se non a soggiogarla, privandola di qualunque autonomia nelle scelte, subordinate al suo consenso».
Nell’ordinanza, la giudice analizza quello che definisce «sistema Bellomo»: un incubo al femminile nel quale «l’istituzione del servizio di borse di studio non era altro che un espediente per realizzare un vero e proprio adescamento delle ragazze da rendere vittime del proprio peculiare sistema di sopraffazione».
La spirale
L’ex giudice, si legge nell’ordinanza, instaurava con le borsiste «rapporti confidenziali e, in alcuni casi, sentimentali». Come accade in quella che viene definita la «spirale della violenza» nei casi di violenza di genere, le vittime sarebbero state prima di tutto «isolate, allontanandole dalle amicizie».
Quindi Bellomo avrebbe tentato una «manipolazione del pensiero se non addirittura [un] indottrinamento» con successivo «controllo mentale, mediante l’espediente di bollare come sbagliate le opinioni espresse o le scelte compiute dalla vittima, in modo da innescare un meccanismo di dipendenza da sé».
Le controllava, scrive la gip, con l’aiuto dell’ex pm di Rovigo Davide Nalin, coordinatore delle borsiste. Bellomo avrebbe monitorato «i social network, imponendo la cancellazione di amicizie, di fotografie pubblicate, qualora non corrispondessero, a suo insindacabile giudizio, ai canoni di comportamento da lui imposti». È «come se si fosse impossessato della mia testa», dice una delle vittime di Bellomo. E i “canoni”, per esempio per le foto da mettere sui social, fanno dire a una delle presunte vittime: «Mi sentivo messa in vendita».
In caso di comportamento diverso dai desiderata di Bellomo, l’ex giudice reagiva «umiliandole, offendendole e denigrandole, anche attraverso la pubblicazione sulla rivista on line della scuola delle loro vicende personali, e minacciandole di ritorsioni sul piano personale e professionale».
La ceretta
E per comportamenti indesiderati si intende, per esempio, non abbandonare tutto per rispondere a un suo messaggio. «Guarda che non sono irritato. Spiegavo che 6m per il messaggio erano troppi», scrive a una ricercatrice. Di cui pretende di controllare il profilo Facebook, di farle pubblicare solo determinate foto e non altre.
Di sindacare un appuntamento dall’estetista, anche. «Ma le ragazze non vanno dall’estetista in vista di qualche evento?», «Dubito che ci siano negozi che chiudano prima delle 20», «Puoi sempre mandarmi il recapito del negozio in questione», «Non ho ricevuto niente. Devo concludere che hai mentito?».
L’escalation? «Oggettivamente non ha senso fare la ceretta dieci giorni prima di quando serve, vieppiù considerando che io ti vedo una volta al mese e a Milano starai sempre con vestiti corti e senza calze. Sostieni che si tratta di una scelta dettata dalla comodità. Ma il vantaggio è insignificante (30’ di traffico, che da un anno affronti ogni giorno), mentre lo svantaggio è netto (dopo 10 giorni le gambe sono meno lisce e senza calze o nell’intimità si nota). Inoltre c’è da considerare il profilo ideale. Cosa metti al primo posto nelle scelte? Me è l’immagine pubblica o una tua comodità? Ovvio che pensi a un’altra spiegazione. Ma se così non fosse (come spero), è comunque una scelta spiacevole. Come tu faccia a non capirlo è un mistero».
«In ginocchio»
Lei esce, e la decisione di uscire fa parte, secondo Bellomo, del suo «Dna malato». Lei decide di interrompere la relazione, e lui promette che, dati i suoi contatti, «la sua carriera è finita». Minaccia denunce: per chi aspira a entrare in magistratura costituiscono un impedimento ai concorsi. Dice a una borsista che «nessuno la stima, né moralmente né fisicamente». Poi ci ripensa. A una condizione. «Non voglio rovinare anni di lavoro senza darti una chance. Venerdì sera, quando entro in stanza, ti metti in ginocchio e mi dici “ti chiedo perdono, non lo farò mai più”. Non ha il significato della sottomissione, ma della solennità».
«Principio di gerarchia»
«Puoi uscire da sola, ma devi essere rintracciabile e, quando ti chiamo, molli chiunque sia con te non appena il telefono suona, qualora si tratti di un’uscita a carattere mondano», scrive a un’altra borsista. «Prim’ancora che un dovere sentimentale, è una logica conseguenza del principio di gerarchia», scrive via messaggio Francesco Bellomo. Minaccia di escluderla dalla partecipazione alla lezione preconcorso. Anche a lei monitora le foto da postare su Facebook, gli eventuali like con altre persone.
«Ubi maior, minor cessat. Poiché non esiste un vincolo di legge, fisso un vincolo negoziale. Se non lo accetti, io non accetto il fidanzamento».
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