Pestato al comizio di Salvini, identificato dai video anche il terzo aggressore: aveva colpito un ragazzo alla nuca
Identificato anche il terzo aggressore che, lo scorso 3 giugno, aveva picchiato un ragazzo al comizio del ministro dell’Interno Matteo Salvini a Cremona. La “colpa” del giovane? Aver esposto un drappo di tessuto con la scritta “Ama il prossimo tuo”. Una protesta pacifica, senza alcuna provocazione che, però, non è stata gradita da alcuni presenti, specialmente da tre uomini che – come mostra in maniera inequivocabile il video diffuso in esclusiva da Open – prima provano a strappargli la sciarpa, poi lo aggrediscono a calci e pugni.
Il video diffuso da Open
A salvarlo sono stati tre agenti della polizia locale liberi dal servizio mentre il vicepremier Matteo Salvini dal palco tuonava: «Lasciatelo da solo, poverino, un applauso al comunista».
«È accaduto tutto all’improvviso, non ce l’aspettavamo, è stata un’aggressione violenta. Due uomini si sono avvicinati a noi e hanno preso a calci e pugni il mio amico fino a farlo cadere per terra. Non ho avuto nemmeno il tempo di difenderlo. Qualcuno, poi, lo ha colpito alla nuca» ha raccontato un testimone a Open.
Chi è il terzo aggressore
Inizialmente la Digos era riuscita a identificare soltanto i primi due uomini, simpatizzanti di Forza Nuova, adesso anche il terzo soggetto, quello che nel video arriva da dietro e, senza alcun motivo, dà una manata tra la nuca e il collo al ragazzo del ’93.
Si tratta di un uomo di 53 anni di cui la Questura di Cremona ha fornito soltanto le iniziali, P.B. Anche lui, insieme agli altri due, sono indagati in stato di libertà per il reato di violenza privata in concorso.
Cosa succederà adesso
L’ipotesi di reato proposta dalla Digos all’autorità giudiziaria, che ne valuterà l’esatta configurazione, «nell’assenza di querela per i reati di percosse o lesioni personali dolose» (la vittima dell’aggressione ha riferito di non aver riportato lesioni e, dunque, di non avere intenzione di formalizzare alcuna querela, ndr) tiene conto del fatto che, con il loro comportamento, gli indagati avrebbero impedito, «con violenza o minaccia, al giovane cremonese, di poter manifestare liberamente il proprio pensiero» con l’esposizione della sciarpa.