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Il report su chi visita i siti porno. Come sono spiati da Facebook e Google

21 Luglio 2019 - 14:54 Redazione
Dall'analisi di quasi 22.500 siti porno è emersa una quantità di tracce lasciate dagli utenti che fanno gola a chi va a caccia dei loro dati

Gli utenti che visitano siti porno hanno un «senso della privacy fondamentalmente fuorviante». Questa la conclusione di un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica New media & society che ha osservato come i software di monitoraggio dei giganti tech sono usati nei siti per adulti.

Gli autori dello studio hanno analizzato 22.484 siti porno e hanno scoperto che il 93% di loro divulga informazioni sugli utenti a siti terzi, anche quando questi navigano in incognito. Questi dati rappresentano un rischio «unico ed elevato» avvertono gli autori, visto che il 45% degli url dei siti porno indicano la natura del contenuto, rivelando potenzialmente le preferenze sessuali degli utenti.

«Chiunque è a rischio quando questi dati diventano accessibili senza il consenso dell’utente, e quindi potenzialmente usati contro di loro», scrivono gli autori, «Questi rischi sono ancora più elevati per popolazioni vulnerabili il cui consumo di porno può essere classificato come non-canonico o contrario alla loro immagine pubblica». Tra i soggetti particolarmente esposti possiamo trovare figure pubbliche il cui orientamento sessuale non è di dominio pubblico o persone che abitano in paesi in cui l’omosessualità è illegale.

Ma anche se resta chiaro che gli utenti sono tracciati quando visitano siti porno, non è ancora chiaro come questi dati vengano usati. Software di tracciamento di Google per esempio sono stati trovati nel 74% dei siti porno. Ma l’azienda nega di usare le informazioni raccolte per costruire profili pubblicitari. Anche Facebook, i cui sistemi sono presenti sul 10% dei siti porno, ha negato di usare le informazioni.

Ma anche se Google e Facebook non usano direttamente questo tipo di informazioni, è altamente possibile che queste vengano «rubate» da utenti terzi. Secondo gli autori dello studio, sarebbe fondamentale che i legislatori implementassero nuove norme sulla privacy e che gli utenti venissero informati del tipo di informazioni che stanno fornendo.

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