Richieste d’asilo: come funzionano ora, cosa propone la Francia e cosa vuole l’Italia
Il prossimo settembre si terrà un vertice straordinario sull’immigrazione a Malta per stipulare un nuovo accordo europeo sulla gestione delle richieste d’asilo. Nel frattempo, si delineano quelli che saranno i diversi schieramenti che metteranno a confronto la loro idea di accoglienza a La Valletta.
La linea Macron e l’assenza di Salvini
Il 22 luglio, durante una riunione a porte chiuse organizzata dal presidente francese Emmanuel Macron, i ministri dell’ Interno e degli Esteri di otto paesi europei hanno accettato di partecipare direttamente al «meccanismo di solidarietà» elaborato da Francia e Germania sulla redistribuzione di migranti e rifugiati.
Alla riunione non era presente Matteo Salvini, che aveva già criticato l’incontro durante il summit dei ministri dell’Interno Ue sull’immigrazione di Helsinki, dove aveva elaborato insieme all’omologo maltese una visione alternativa della gestione dei flussi.
Nell’Unione Europea esistono differenze profonde su questo tema: emblematica la frecciatina del ministro dell’Interno tedesco Horst Seehofer che a Helsinki, vedendo Salvini con il telefonino in mano, gli ha chiesto «Matteo, stai già twittando per dire che siamo cattivi con voi?».
Come funziona ora il sistema di Dublino
Il sistema di Dublino, frutto dell’omonima Convenzione del 1990 (entrata in vigore nel 1997), è stato il primo strumento di gestione comunitaria delle richieste di asilo.
Prevede che lo Stato responsabile per l’esame della richiesta d’asilo sia quello di primo approdo nell’Unione Europea. E non nel Paese dove chi richiede protezione umanitaria desidera ottenerla, lasciando pochissimo spazio alle preferenze individuali.
Inizialmente, il trattato era stato ratificato dai 12 Paesi che facevano parte dell’Unione 30 anni fa, quindi Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Regno Unito, raggiunti successivamente da Austria, Svezia e Finlandia.
Nel 1999, il cosiddetto Dublino II coinvolse nella Convenzione tutti i Paesi membri dell’Ue e nel 2014 Dublino III confermò i principi base del sistema, apportando alcune modifiche. Tra queste, la clausola del divieto di depositare la domanda in più di un Paese dell’Unione. Un vincolo controllato tramite l’Eurodac, un sistema di archiviazione delle impronte digitali dei migranti.
Oggi, per esempio, i migranti che raggiungono clandestinamente un Paese europeo per depositare la domanda di asilo, vengono rimandati nel Paese di primo approdo. Sono i cosiddetti «Dubliners», obbligati a ritornare nel Paese dove sono stati identificati la prima volta, che è molto spesso Italia, Grecia o Malta.
Tra l’altro, come riporta Open Migration, «nel caso in cui l’identificazione non avvenga, come spesso accade oggi in Italia, talvolta basta semplicemente un biglietto del treno o uno scontrino per testimoniare il passaggio dal territorio italiano anche senza aver mai avanzato richiesta di asilo».
Anche nel caso in cui al migrante venisse riconosciuto lo statuto di rifugiato in un Paese europeo (spesso quindi il Paese d’arrivo), questa è impossibilitata a trasferirsi nel Paese desiderato. È infatti consentito ai rifugiati di circolare per tre mesi all’interno dell’Unione, ma non di trasferirsi in nessun altro Stato europeo.
Le critiche al regolamento di Dublino
Questo regolamento è stato criticato da capi di Stato e attivisti, ma anche dal Consiglio europeo per i rifugiati e dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Oltre all’eccessiva pressione sui Paesi di frontiera, questo meccanismo è stato più volte accusato di non fare abbastanza per facilitare il ricongiungimento familiare e di allungare i tempi d’attesa per i richiedenti asilo.
Le lacune del sistema di Dublino sono state esasperate dal consistente afflusso di migranti avvenuto nel 2015. Ma qualsiasi riforma proposta non è stata adottata. L’ultima, del novembre 2017, era stata approvata dal Parlamento europeo, ma mai adottata.
Questa riforma prevedeva che i richiedenti asilo non fossero obbligati a depositare la domanda nel Paese di approdo ma venissero ricollocati nei Paesi europei tramite un sistema di quote basate su Pil e popolazione.
Tra l’altro, sarebbero stati introdotti criteri secondo cui avrebbero avuto un peso i rapporti, familiari e non, che il richiedente asilo intrattiene con il Paese in cui desidera depositare al domanda.
A questa proposta si erano opposti, tra le altre, Francia e Germania, ma anche l’Italia. A dicembre 2018 la Commissione europea ha ammesso di aver abbandonato l’idea di cambiare le regole europee sul diritto d’asilo. Matteo Salvini si era detto infatti contrario alla approvazione di «Dublino IV», in parte per le attenuanti introdotte dalla Bulgaria (allora presidente del Consiglio Ue) in parte per la rigidità della redistribuzione, in parte per una decisione di opporsi in toto al sistema di gestione migratoria elaborato da Bruxelles.
L’idea di Salvini: prima accoglienza in Paesi terzi
«Bisogna lavorare con un coerente impegno politico e finanziario, per attuare accordi di sbarco (e centri) con i Paesi terzi. È un punto cruciale che potrebbe contribuire a risolvere i conflitti a livello Ue in termini di solidarietà e ridistribuzione. Per il quale si immagina un sistema che, in linea con le aspettative degli Stati Ue più esposti, preveda misure di ridistribuzione obbligatorie». Questo si legge nel non-paper, il documento ufficioso prodotto a Helsinki dai ministri dell’Interno d’Italia e Malta.
L’obiettivo è quello di creare «corridoi umanitari» per chi può essere accolto nei Paesi Ue e «misure di redistribuzione obbligatorie». Il documento sottolinea anche l’importanza della prevenzione delle partenze tramite la creazione di hotspot per i richiedenti asilo nei Paesi limitrofi a quelli di provenienza. Si dà peso anche alla necessità di aumentare i rimpatri, che dovrebbero essere gestiti equamente da tutti i Paesi membri o direttamente dall’Unione Europea tramite Frontex.
In queste carte viene segnalata anche la necessità di stilare una lista di Paesi «sicuri» in cui i richiedenti asilo vengano riammessi automaticamente. «Un conto sono gli arrivi da zone da guerra, un altro da Tunisia o Albania», ha affermato Salvini. Dimenticandosi forse del fatto che certi Paesi non sono in guerra, ma sono guidati da governi che limitano i diritti umani. In Tunisia, per esempio, l’omosessualità è illegale.
Come lo vuole Macron: prima accoglienza nel porto più vicino, poi redistribuiti
Il piano di Macron non è ancora stato reso pubblico ma dalle dichiarazioni dei politici coinvolti nella sua formulazione si evince che intende creare vincoli perché gli immigrati siano fatti sbarcare nel «porto sicuro» più vicino, come stabilisce il diritto internazionale.
In cambio, gli Stati che sono parte dell’accordo (per ora Francia, Germania, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Croazia, Finlandia e Portogallo, anche se Macron ha dichiarato che fossero in 14 a essere d’accordo) promettono la redistribuzione «più rapida possibile». Macron ha anche utilizzato il termine «automatico» in riferimento al ricollocamento, che ricorda il sistema di quote previsto dal progetto di «Dublino IV».
Questo manterrebbe Italia e Malta come primi Paesi d’approdo, ragione per la quale Matteo Salvini vi si è opposto fermamente fin dal principio. Secondo il vicepremier, per Francia e Germania: «L’Italia dovrebbe continuare a essere il campo profughi d’Europa». Secondo il ministro dell’Interno italiano infatti, la redistribuzione di chi viene riconosciuto come avente diritto all’asilo lascerebbe nel Paese di arrivo coloro ai quali viene negato lo status di rifugiato. E queste persone sarebbero poi difficili da espellere.
La divergenza di base è sui tempi di redistribuzione. I Paesi di prima accoglienza spingono perché questa venga effettuata prima che la domanda venga depositata, mentre gli altri, quando si dichiarano aperti ad accogliere rifugiati, pongono la condizione che questo avvenga una volta che la domanda viene accettata.
Mentre nelle capitali europee si discute, il rischio di perdere la vita cercando di raggiungere l’Europa si è decuplicato in due anni. Come riporta l’organizzazione Medici Per i Diritti Umani, nel 2017 sono morti il 3% dei migranti che hanno cercato di raggiungere l’Italia. Nel 2019 questi sono stati il 32%.
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