Di Maio usa il bastone e la carota: «Mi fido di Salvini, ma avrebbe dovuto riferire al Senato al posto di Conte»
Luigi Di Maio ha incontrato i giornalisti fuori dal ministero del Lavoro, all’indomani delle nuove, ennesime tensioni all’interno del governo, dopo che il premier Giuseppe Conte ha riferito al Senato sul caso dei presunti finanziamenti alla Lega. In soli otto minuti il vicepremier ha affrontato i temi più caldi del dibattito: dalla Tav alle autonomie, dalla flat tax allo scandalo che ha coinvolto la Lega.
Il discorso di Conte al Senato
Sul discorso di Conte, Di Maio conferma la linea del Movimento già esposta in Aula dal capogruppo Patuanelli: «Abbiamo sempre detto che se il Parlamento chiede di riferire il ministro deve riferire – dichiara il ministro del Lavoro – Il presidente del Consiglio è stato più che generoso a venire in aula a riferire su un caso che lo riguarda. Al suo posto ci doveva essere un’altra persona, il ministro dell’Interno».
Un affondo a Salvini bilanciato però da un attestato di stima per quanto riguarda la sostanza dell’inchiesta della procura di Milano: «Se avessimo il sospetto che la Lega abbia preso dei soldi dalla Russia – chiarisce Di Maio – non saremmo al governo con loro».
Su un altro punto i due vicepremier sembrano essere d’accordo: lavorare e stop ai litigi. «Bisogna lavorare, altrimenti i cittadini non ci considerano utili per il Paese. Stiamo al governo se il Movimento 5 Stelle è utile alla qualità della vita de cittadini», fa eco al ministro dell’Interno.
La battaglia sul salario minimo
Nell’agenda del ministro anche la riduzione del cuneo fiscale, che collega anche finanziariamente al salario minimo: «Facciamo risparmiare 4 miliardi di cuneo fiscale alle imprese, così potremo fare il salario minimo senza gravare su di loro, ma permettendo ai cittadini di non vedere più stipendi da due/tre euro l’ora». La riforma secondo Di Maio è «pronta» e questo pomeriggio sarà presentata alle parti sociali in occasione di incontro a Palazzo Chigi.
Nessuna tregua sull’Autonomia
Sulle autonomie la frizione con l’alleato sembra invece lungi da essere superata, soprattutto in considerazione delle posizioni dei governatori leghisti di Lombardia e Veneto. Per il ministro del Lavoro la riforma va fatta, ma non con la celerità chiesta da Salvini, perché si tratta di «un intervento epocale».
Di Maio inoltre, in linea con il premier Conte, stoppa sull’assunzione regionale dei docenti e rivendica il ruolo del M5S di «garante dell’unità nazionale» e, evidentemente con riferimento a Lombardia e Veneto, frena: «Non vogliamo che l’autonomia danneggi il Sud per favorire solo due regioni del Nord».
«Siamo e resteremo No Tav»
Ma i toni più caustici il vicepremier pentastellato li usa sulla questione della Tav e non risparmia una stoccata all’alleato di governo: «Noi al governo ci stiamo con il 33%, non con il 51%. Siamo e resteremo sempre No Tav, perché quella è un’opera inutile. Sarà un regalo alla Francia per 2,2 miliardi di euro».
Sulla alleanza trasversale per il Sì Tav picchia duro: «Chi ci dà dei voltafaccia lo dice senza memoria e forse senza averla mai avuta una faccia: perché ricordo che il Pd di Renzi, così come la Lega sono stati No Tav in passato. Può mai essere colpa nostra che abbiamo il 33% e che rimaniamo No Tav?».
Dopo aver di passata affrontato il tema della flat tax volontaria («Mi auguro non sia una fregatura») e quello dell’abolizione del canone Rai, storica battaglia del Movimento, Di Maio lascia i cronisti con una nota velenosa, sulle tentazioni di crisi di governo da parte degli alleati: «Chi vuole aprire la crisi lo fa per evitare del taglio dei parlamentari a settembre».
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