Cile, migliaia in piazza per il diritto all’aborto
«Le ricche se lo pagano», «no al servizio maternale obbligatorio». Migliaia di persone hanno sfilato il 25 luglio a Santiago del Cile, per «rendere l’aborto legale e sicuro», indossando magliette verdi e sventolando bandiere dello stesso colore, adottato dalle attiviste pro-choice argentine.
Las esperamos mañana compañeras💚💜🖤
— Feministas En Lucha (@CFLChile) July 25, 2019
Que tiemblen los machistas, América Latina va a ser toda Feminista ✊🏿#abortamoselracismo pic.twitter.com/g2GJYuIjk4
La manifestazione è la settima dall’inizio dell’anno per chiedere una riforma della legge sull’interruzione di gravidanza. Lo scorso 2 agosto, durante le proteste, erano state pugnalate due attiviste.
Davanti alla sede del governo, il palazzo della Moneda, la folla ha intonato «Facciamo abortire l’oppressione e la misoginia». Questa manifestazione ha messo insieme la lotta contro la misoginia e quella contro il razzismo, perché «abbiamo un governo di estrema destra neo liberale che avvalla i neofascisti», afferma la portavoce di Feministas en Lucha, Verónica Ávila, in riferimento all’esecutivo di destra di Sebastián Piñera.
Secondo la coordinatrice dell’iniziativa, Gloria Maira, l’aborto avviene indipendentemente dalle condizioni legali, quello che cambia con le leggi sono solo le condizioni in cui le donne abortiscono. «In tutte le epoche ci sono state donne che hanno abortito», afferma l’attivista, «ma quando mancano le risorse la situazione peggiora, perché ci sono rischi gravi per la salute e la vita».
Cosa prevede la legge cilena sull’interruzione di gravidanza
Nel 1990, durante la dittatura di Augusto Pinochet, l’interruzione di gravidanza era stata dichiarata illegale in ogni caso. La legge sull’aborto, approvata grazie alla spinta della presidente socialista Michelle Bachelet nel 2017, lo legalizza solo per motivi «terapeutici» in tre circostanze: stupro, gravi anomalie fetali e rischio della vita per la madre.
Nonostante questo, il nuovo presidente si è opposto alla legge, e nel Paese i dottori anti-abortisti che impediscono alle donne di interrompere la gravidanza anche in caso di stupro sono moltissimi. A marzo, una bambina di 11 anni, violentata dal fidanzato della nonna, ha partorito un figlio per il rifiuto dei medici di effettuare tempestivamente un aborto.
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