Cento anni fa nasceva Primo Levi: così la chimica gli salvò la vita ad Auschwitz
Oggi, 31 luglio, ricorre il centesimo anniversario della nascita di Primo Levi, scrittore, intellettuale italiano, icona culturale di fama mondiale, testimone degli orrori dell’Olocausto. E chimico. La chimica fu la passione di una vita per Levi. Percorre la sua biografia come un filo d’oro – l’elemento che diede il titolo a una sua storia che racconta la cattura e la prigionia da partigiano – dalla sua gioventù torinese all’età adulta, passando per gli studi universitari, conclusi con successo nonostante l’ostacolo che rappresentavano le Leggi Razziali varate dal regime fascista. Prima di essere deportato a Auschwitz Levi lavorò nel laboratorio di una cava d’amianto, poi in un’industria farmaceutica. Una volta tornato in Italia trovò impiego in una fabbrica di vernici di Settimo Torinese, comune operaio alle porte di Torino.
Ci lavorò per il resto dei suoi giorni fino a quando, all’età di 67 anni, venne trovato privo di vita in fondo alla tromba delle scale nel palazzo dove era cresciuto e dove aveva trascorso la maggior parte della sua vita. Anche uno dei suoi capolavori – Il sistema periodico, il quinto libro di Levi, pubblicato nel 1975 – porta l’impronta della disciplina di cui si fece non solo divulgatore ma poeta, come lui stesso definì la creatura di Dimitrij Mendeleev, pubblicata 150 anni fa quest’anno. Ma il linguaggio scientifico – essenziale e preciso – caratterizza anche altri suoi scritti, come nella descrizione incancellabile del campo di concentramento dove era stato prigioniero in cui, partendo dalle dimensioni del campo e la sua organizzazione, ne evocò la disumana razionalità meglio di chiunque altro.
Fu proprio ad Auschwitz che la scienza lo salvò ancora una volta. Prima perché lo studio della chimica lo aveva portato ad imparare il tedesco, essenziale per navigare la acque torbide del lager. Poi perché grazie alle sue conoscenze era stato impiegato dai tedeschi, durante la sua prigionia, presso l’azienda chimica la Buna, sottraendolo a una vita ancora più dura e mortifera.
Cinque estratti per ricordare Levi
«Scrivo proprio perché sono un chimico, si può dire che il mio vecchio mestiere si è largamente trasfuso nel nuovo».
Primo Levi, Ex chimico, in: L’altrui mestiere, Torino: Einaudi, 1985
«Moltissime cose ci restano da imparare, ma molte le abbiamo già imparate. Già abbiamo una certa idea della topografia del Lager; questo nostro Lager è un quadrato di circa seicento metri di lato, circondato da due reticolati di filo spinato, il più interno dei quali è percorso da corrente ad alta tensione. […] Abbiamo ben presto imparato che gli ospiti del Lager sono distinti in tre categorie: i criminali, i politici e gli ebrei. Tutti sono vestiti a righe, sono tutti Häftlinge, ma i criminali portano accanto al numero, cucito sulla giacca, un triangolo verde; i politici un triangolo rosso; gli ebrei, che costituiscono la grande maggioranza, portano la stella ebraica, rossa e gialla. Le SS ci sono, sì, ma poche, e fuori del campo, e si vedono relativamente di rado: i nostri padroni effettivi sono i triangoli verdi, i quali hanno mano libera su di noi, e inoltre quelli fra le due altre categorie che si prestano ad assecondarli: i quali non sono pochi»
Primo Levi, Se questo è un uomo, Torino: Einaudi, 1983
«[…] La nobiltà dell’uomo, acquisita in cento secoli di prove ed errori, era consistita nel farsi signore della materia[…] mi ero iscritto a Chimica perché a questa nobiltà mi volevo mantenere fedele […] vincere la materia è comprenderla, e comprendere la materia è necessario per comprendere noi stessi, e che quindi il sistema Periodico di Mendeleev, che proprio in quelle settimane imparavamo laboriosamente a dipanare, era una poesia, più alta e più solenne di tutte le poesie digerite in liceo»
Primo Levi, Ferro in: Il sistema periodico, Torino: Einaudi 1975
«Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre».
Primo Levi, I sommersi e i salvati, Torino: Einaudi, 1986
«Il fascismo non era soltanto un malgoverno buffonesco e improvvido, ma il negatore della giustizia; non aveva soltanto trascinato l’Italia in una guerra ingiusta ed infausta, ma era sorto e si era consolidato come custode di un ordine e di una legalità detestabili, fondati sulla costrizione di chi lavora, sul profitto incontrollato di chi sfrutta il lavoro altrui, sul silenzio imposto a chi pensa e non vuole essere servo, sulla menzogna sistematica e calcolata»
Primo Levi, Oro in Il sistema periodico, Torino: Einaudi 1975
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