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Sì, sulla Luna ci siamo andati, e le prove sono impossibili da falsificare – L’intervista

01 Agosto 2019 - 06:16 Juanne Pili
Il debunker Paolo Attivissimo spiega a Open perché siamo certi che gli allunaggi non sono un falso

In diversi articoli ci siamo occupati dei 50 anni della missione Apollo 11, con cui la Nasa mandò i primi uomini sulla Luna. Sono tante le tesi di complotto al riguardo, alcune hanno anche ottenuto spazio nei quotidiani nazionali.

Smontare le fake news è doveroso, ma è altrettanto importante ricordare il motivo per cui siamo certi di essere stati sulla Luna. Il decano dei debunker italiani, Paolo Attivissimo, spiega a Open perché possiamo essere sicuri della veridicità degli allunaggi, in virtù delle numerose prove, verificabili da tutti. Prima però cerchiamo di capire chi c’è dietro i vari tentativi di smentire l’impresa.

Chi è il tipico negazionista degli allunaggi?

«C’è da una parte il guru, quello che crea proseliti, pubblica contenuti e fa video, e cerca anche di monetizzare questi contenuti. Dall’altra c’è una seconda categoria di persone che hanno preso una decisione, ma non fanno proselitismo, hanno solo deciso che l’allunaggio è finto e che è stata tutta una messa in scena.

Le due categorie si distinguono soprattutto per la questione del proselitismo. C’è il negazionista che dice “io so che non siamo mai andati sulla Luna, ma me la tengo per me, al massimo vado a scriverlo sui Social e non vado in giro a dimostrare chissà cosa”: è semplicemente una sua opinione personale.

Invece il guru vero e proprio va a caccia di contenuti e li posta. La differenza tra i due è anche nell’atteggiamento. Il complottista che monetizza, il guru, è anche quello che conosce le furbizie del mestiere. Quello che non fa proseliti è invece una persona male informata che ha abbracciato una visione cospirazionista della vita».

Quali sono le principali prove che ci siamo andati? Qual è la più convincente?

«Credo che la prova fondamentale sia il fatto che tutti gli esperti del settore sono sicuri che ci siamo andati. Difficile pensare che i russi, i cinesi, gli europei, gli astronauti come Luca Parmitano, siano stati tutti gabbati. Non solo: le prove che ci sono nei filmati e nelle fotografie presentate dalla Nasa sono impossibili da falsificare con gli effetti speciali degli anni ’60.

Ci sono fenomeni come il modo in cui si comporta la polvere (quello della polvere parabolica). Quando vediamo l’automobile elettrica lunare, la polvere, che rimarrebbe sospesa se ci fosse un’atmosfera, ricade subito al suolo.

Questo è uno dei tanti fenomeni che vediamo nelle riprese fatte sulla Luna che non sarebbe stato possibile replicare con gli effetti speciali dell’epoca. Se non era possibile falsificarli dobbiamo per forza esserci andati.

Ci sono filmati davvero impossibili da realizzare: come quando gli astronauti sono davanti a quella che sembra una roccia, poi si scopre man mano che si avvicinano, che si tratta di una collina in lontananza».

Avrebbero dovuto utilizzare un set enorme e crearvi il vuoto o riempirlo d’acqua, anche se così sarebbe stato difficile annullarne gli effetti ottici.

«Tra l’altro l’acqua ha una tinta azzurrina che è impossibile da togliere. Io sono stato a Houston dove la Nasa ha la piscina più grande al mondo per le simulazioni di assenza di peso – dove si è addestrato recentemente Parmitano – e lì ho visto quell’acqua, l’ho vista da sopra e da sotto attraverso i finestrini e le telecamere che ci sono.

Tutto quello che c’è dentro quella piscina per quanto sia acqua iper-pulita è comunque tinto di azzurro. L’acqua ha questa caratteristica. Quindi non si può neanche pensare a una vasca piena d’acqua cristallina nella quale sarebbero immersi gli astronauti: te ne accorgeresti dall’offuscamento che comunque ci sarebbe».

Ci sono tante altre prove che ci siamo andati, ma non implicano tutte che fosse presente un equipaggio, come la presenza di appositi specchi su cui possiamo proiettare potenti laser dalla Terra.

«Sono degli indizi secondari ma non delle conferme. In realtà la prova del fatto che ci siamo andati non è soltanto il singolo caso, ma il complesso delle cose che sarebbe stato necessario falsificare.

Avevo compilato una specie di lista della spesa: supponiamo che alla Nasa avessero deciso di simulare gli allunaggi; cosa avrebbero dovuto falsificare? Ci sono i razzi che devono partire dalla Terra, quelli devi farli partire per forza, quindi sono 12 razzi giganti che devono essere costruiti, devono funzionare e andare nello Spazio.

Magari li facevano cadere da qualche parte, ma almeno fino alla quota di 70 chilometri dovevano farli arrivare. Poi devono esserci dei veicoli che attraversano lo Spazio tra la Terra e la Luna, perché gli astronomi hanno seguito le missioni Apollo. 

Una volta arrivato sulla Luna devi mettere qualcosa che lasci le impronte degli astronauti. Aggiungi che ci vogliono le comunicazioni radio perfettamente simulate. Bisogna avere un copione nel quale ci sono 11 mila ore di conversazioni tra i tecnici a Terra. Tutte queste cose sono pubbliche. Bisogna falsificare 6500 fotografie scattate sulla Luna, decine di ore di diretta televisiva, riprese cinematografiche, le rocce lunari, eccetera.

Alla fine la lista è talmente lunga che sarebbe costato meno andarci sul serio, ed è infatti quello che è successo».

Ci sono effettivamente molte tesi lunacomplottiste contraddittorie: come quella secondo cui “non ci siamo andati”, però le missioni annullate (Apollo 18, 19 e 20) le avrebbero fatte davvero ma in segreto.

«C’è anche un’altra contraddizione di fondo: i complottisti spesso accusano la Nasa di non avere avuto la tecnologia per andare sulla Luna, ma di avere avuto quelle segrete per falsificare le riprese e addirittura realizzare missioni segrete senza che nessuno se ne accorgesse.

Si decidessero una buona volta: qual è la versione complottista reale? Dopo 50 anni non sono arrivati neanche a questo punto. Non hanno saputo costruire una versione alternativa unica e coerente».

Nel sito della Nasa c’è la sezione “spinoff”, dove si elencano tutte le tecnologie venute fuori grazie all’esplorazione spaziale: quali sono quelle usate nelle missioni Apollo che utilizziamo tutt’oggi?

«Tutti i chip elettronici che usiamo adesso sono nati grazie all’impulso tecnologico dato dalle missioni Apollo. Per andare sulla Luna bisognava avere un computer, quel computer doveva essere leggero – almeno per gli standard dell’epoca – quindi non poteva essere fatto con dei circuiti normali, con transistor come si usava all’epoca. Era necessario miniaturizzarlo con quelli che all’epoca erano una novità: i circuiti integrati.

Quei circuiti integrati furono usati per la prima volta in una missione operativa con equipaggio per andare sulla Luna, e questo ha dato via a  tutta l’elettronica che abbiamo adesso. I telefonini in sostanza sono figli delle missioni Apollo.

Così anche il Gps (Global positioning system), i nostri navigatori che ci indicano così precisamente dove siamo e dove vorremmo andare. Sono tutti figli delle equazioni sviluppate per la navigazione spaziale. 

Gli aerei di linea come gli Airbus hanno un sistema di volo computerizzato, il Fly-by-wire (Fbw), la cui tecnologia venne sviluppata usando come
prototipo il computer utilizzato nelle missioni Apollo». 

Infine, sono ancora vivi diversi protagonisti delle missioni Apollo, compresi gli astronauti che camminarono sulla Luna. 

«Tutti quelli che ho incontrato devo dire che si sono rivelate persone estremamente disponibili, aperte, soprattutto quando devi fare loro domande un po’ tecniche. Hanno tantissima voglia di raccontare tutti gli aspetti meno conosciuti delle loro missioni. Sono invece riluttanti a parlare dei propri sentimenti.

Erano talmente presi dalla loro missione, e dalla difficoltà di quel che stavano facendo, che non hanno avuto molto tempo di riflettere sui loro sentimenti durante la missione. Dopo magari sono venute fuori anche delle riflessioni spirituali, alcuni di loro hanno avuto anche una svolta religiosa.

Andare così lontano da poter coprire con un dito tutti gli esseri umani che hanno vissuto sulla Terra ti fa riflettere sul nostro ruolo nell’Universo. Eppure sono persone paradossalmente “terra-terra”, alle quali puoi rivolgerti chiamandole per nome.

Ho avuto modo di conoscerli anche dietro le quinte. Si sono tutte confermate persone normali nella loro straordinarietà. Quelli vedovi o separati sono pure dei donnaioli, hanno tutti ancora l’occhio vispo».

Neil Armstrong era veramente un tipo sfuggente come è stato spesso dipinto?

«In realtà no. Ed è importante sfatare questo mito. Armstrong era una persona che amava la propria riservatezza ma era disponibilissimo se lo sapevi prendere per il verso giusto. Il verso giusto per prendere un astronauta è non chiedergli niente.

Ed è quello che è successo. Scrissi una mail allo storico James Hansen, che aveva curato la biografia di Armstrong, per avere un chiarimento su una storia un po’ curiosa uscita sui giornali italiani, che pubblicarono la notizia secondo la quale Armstrong si sarebbe convertito a una strana setta indiana.

Mi aspettavo che rispondesse direttamente Hansen, invece a sorpresa mi arrivò la mail di Armstrong. Fu una risposta laconica ma essenziale dove mi scrisse: “Grazie per la sua richiesta di informazioni. Non conosco il nome ‘Sai Baba’ e non ho comunicato in alcun modo con suoi associati o seguaci.
Tuttavia non sono sorpreso, dato che molte organizzazioni religiose mi
hanno rivendicato come loro membro. Cordiali saluti, Neil Armstrong”.

Ho provato un’emozione un po’ particolare: è stato come ricevere una mail da Cristoforo Colombo. Me la conservo gelosamente, ed è stato l’unico contatto che ho avuto con Armstrong, perché l’appuntamento in cui avrei dovuto incontrarlo purtroppo era previsto pochi mesi dopo la sua morte».

Foto di copertina: NASA/Da sinistra a destra gli astronauti della missione Apollo 11: Armstrong, Collins e Aldrin.

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