Chi è l’eritreo Medhanie e perché l’Italia si è affrettata a concerdegli l’asilo politico
In carcere per alcuni anni con l’accusa di essere chi non era, vale a dire uno dei più grandi trafficanti di esseri umani, il 32enne eritreo Berhe Medhanie Tesfamariam il 31 luglio ha ottenuto lo status di rifugiato dalla Commissione territoriale di Siracusa che si è richiamata alla Convenzione di Ginevra.
Ieri ha lasciato il Cpr di Caltanissetta. «Il mio assistito – ha detto il legale Michele Calantropo – è finalmente libero e continuiamo la battaglia per il riconoscimento dei diritti di questo migrante».
La domanda di asilo politico era stata avanzata il 12 luglio scorso, al termine di un processo durato tre anni, quando i giudici avevano ammesso «l’errore di persona» e stabilito la rettifica delle sue generalità.
Condannato a cinque anni per favoreggiamento dell’ immigrazione clandestina, dopo la scarcerazione era stato trasferito, su richiesta della Questura, al Cpr di Caltanissetta, rischiando il rimpatrio. Adesso avrà un passaporto dell’Unhcr e potrà chiedere asilo politico.
Il caso
Tre anni fa uno scambio di persona aveva costretto Berhe Tesfamariam alla reclusione. L’uomo era stato arrestato in Sudan nel 2016 ed estradato in Italia a giugno dello stesso anni.
Secondo l’accusa l’uomo aveva organizzato l’attraversata del Mediterraneo verso l’Italia, dalla Libia, di 13mila persone. L’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano aveva definito l’arresto e l’estradizione in Italia di Mered Yedhego Medhanie «un risultato straordinario conseguito grazie a un’intensa attività investigativa e di cooperazione transnazionale»
Anche il pm Calofero Ferrara continuava a sostenere che l’imputato fosse Mered Medhanie Yedhego, 38enne eritreo, e uno dei più pericolosi trafficanti di essere umani per cui l’accusa aveva chiesto 14 anni. Da subito gli avvocati e Tesfamariam avevano sostenuto che si era trattato di uno scambio di persona e che la persona che i giudici avevano davanti fosse in realtà Berhe Medhanie Tesfamariam.
Una teoria che per anni era stata sostenuta anche da quotidiani internazionali, come il New Yorker e il The Guardian. Poi il 12 luglio una sentenza della Corte d’Assise che per Berhe Tesfamariam voleva dire libertà: «L’imputato non è Mered Medhanie Yedhego, l’uomo arrestato in Sudan ed estradato nel 2016 in Italia con l’accusa di essere a capo di una delle maggiori organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di migranti».
Tesfamariam ha visto cadere l’accusa di «associazione per delinquere finalizzata al traffico dei migranti». Berhe avrebbe dovuto comunque scontare una pena a 5 anni per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ma visto che la misura cautelare prevista per questo tipo di reato non può superare i tre anni: il giovane ha già scontato la sua pena.